Cicerone - De legibus  (Le leggi) - Libro III


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 LIBRO III

 I. [1] Marco: - Seguirò dunque, come ho incominciato, quell'autore quasi divino che io, mosso dall'ammirazione, cito forse più spesso di quanto sarebbe necessario.

Attico: - Vuoi dire Platone.

Marco: - E' appunto a lui, che mi riferisco, Attico.

Attico: - Eppure non viene citato mai abbastanza e né abbastanza spesso; infatti anche quei miei amici studiosi che non permettono mai di citare qualcuno se non è il loro maestro, mi consentono di amare il mio maestro come voglio.

Marco: - E fanno bene, per Ercole. Che c'è infatti di più degno della tua finezza? Il tuo stile di vita e di linguaggio mi sembra che sia riuscito a raggiungere quel difficilissimo equilibrio tra autorevolezza e gentilezza.

Attico: - Sono contento d'averti interrotto, dal momento che mi hai dato una così preziosa testimonianza del tuo senso critico. Ma continua quello che avevi iniziato.

[2] Marco: - Facciamo allora precedere l'elogio della legge stessa citando i pregi ad essa connessi?

Attico: - Benissimo, come hai già fatto per la legge sul culto.

Marco: - Voi vi rendete dunque conto che questa è l'essenza del magistrato, di sovraintendere e  dare prescrizioni giuste ed utili, nonché in armonia con le leggi. Come infatti le leggi stanno al di sopra dei magistrati, così i magistrati stanno al di sopra del popolo, e si può dire veramente che il magistrato è una legge parlante, la legge invece è un magistrato muto.

[3] Nulla inoltre è tanto conforme al diritto ed alla disposizione della natura - e dicendo ciò, intendo dire la legge - quanto il potere; senza di esso infatti né la famiglia, né lo Stato, né la nazione, né il genere umano, né tutta la natura, né il mondo stesso potrebbero sussistere; questo infatti obbedisce al dio, ed a questo obbediscono i mari e le terre, e la vita umana ottempera alle norme di una legge suprema.

II. [4] E per venire a questi argomenti più vicini e più noti a noi, tutti i popoli antichi un tempo obbedirono a dei re. Questo genere di potere era originariamente conferito agli uomini più giusti e più saggi - e tale regola ebbe larghissima applicazione soprattutto nel nostro Stato, finché esso fu governato dalla potestà regia -, e dopo si trasferiva di volta in volta ai discendenti, principio che ancora oggi resta valido per coloro che regnano. Quelli poi, cui non andò più a genio la potestà regia, non dico che non vollero obbedire più a nessuno, ma piuttosto non sempre obbedirono ad un solo individuo. Infine, poiché noi diamo leggi a dei popoli liberi, e già ho espresso il mio pensiero intorno alla forma migliore di ordinamento dello Stato in sei libri, ora adatterò le nostre leggi a quel tipo di Stato che suscitò il mio interesse.

[5] C'è dunque necessità di magistrati, perché senza la loro saggezza e diligenza non potrebbe sussistere uno Stato, e sulla loro distribuzione si fonda tutta la gestione dello Stato. E  occorrerà stabilire non soltanto per essi un limite al loro potere, ma anche per i cittadini un limite all'obbedienza. Infatti chi ben comanda, dovrà un giorno o l'altro obbedire, e chi obbedisce con giudizio, può sembrare degno di assumere un giorno il potere. E' necessario pertanto che chi obbedisce abbia la speranza di poter un giorno comandare, e  colui che comanda rifletta che tra breve dovrà obbedire. Ma non solo prescriviamo che i cittadini siano sottomessi e obbediscano ai magistrati, ma anche che li onorino e li amino, come fece Caronda nella sua costituzione; d'altra parte il nostro Platone affermò che appartengono alla stirpe dei Titani coloro i quali resistano ai magistrati, così come già quelli resistettero agli dèi celesti. Stando così le cose, veniamo ora, se volete, alle leggi vere e proprie.

Attico: - Sono perfettamente d'accordo su questo criterio e sulla successione degli argomenti.

III. [6] Marco: - " I supremi poteri siano legali, ed i cittadini vi obbediscano con sottomissione e senza opporvisi; il magistrato punisca il cittadino disobbediente e colpevole con una ammenda, con il carcere o con la fustigazione, a meno che  non faccia opposizione  un'autorità pari o maggiore o il popolo stesso, cui poter appellarsi. Quando il magistrato avrà giudicato o condannato, sia discussa dal popolo l'ammenda o la pena. I militari non abbiano diritto di appello contro il proprio comandante, e quello che avrà ordinato il responsabile delle operazioni di guerra, sia considerato legittimo ed messo in atto."

"I magistrati minori, con giurisdizioni distinte, siano diversi secondo gli uffici. Quelli che ne avranno il mandato, comandino l'esercito e siano presenti i loro  tribuni. In pace siano depositari del tesoro pubblico, tengano in prigione i delinquenti, reprimano i delitti capitali, coniino pubblicamente monete di bronzo, argento ed oro, giudichino le liti insorte, eseguano qualsiasi  decreto del senato."

[7] "Siano gli edili curatori della città, dell'annona, dei giochi solenni, e per essi sia questo il primo gradino verso le magistrature maggiori."

"I censori censiscano l'età della popolazione, i figli a carico, gli schiavi ed il bestiame; tutelino gli edifici pubblici, i templi, le strade, le acque, l'erario, le entrate finanziarie; distribuiscano i cittadini nelle tribù, dividano le centurie in base al patrimonio ed all'età, prendano nota dei figli dei cavalieri e dei fanti, vietino il celibato, sorveglino la morale del popolo, non lascino una persona indegna in senato; siano in due, tengano la magistratura per un quinquennio; gli altri magistrati siano annuali, e quella loro potestà sia perpetua."

[8] "Interprete della legge, che giudichi e dia mandato di giudicare le cause private, sia il pretore. Egli sia depositario del diritto civile; a questo magistrato siano pari in potere quanti ne avrà decretato il senato ed ordinato il popolo ."

"Vi siano due che esercitino il potere regio, e per procedere, giudicare, provvedere siano chiamati pretori, giudici, consoli; essi abbiano il supremo potere militare, a nessuno siano soggetti; sia loro suprema legge la salute del popolo. "

[9] "Nessuno assuma la stessa carica se non sono passati dieci anni; si osservino i limiti di età stabiliti dalla legge degli Annali."

"Ma quando vi sarà una guerra piuttosto grave, oppure discordie civili, uno solo, se il senato lo avrà decretato, abbia il potere dei due consoli, per non più di sei mesi e, nominato conforme ad auspicio favorevole, sia maestro del popolo. Chi comanda la cavalleria  abbia autorità pari all'interprete del diritto, chiunque quello sia. Tutti gli altri magistrati non esistano."

"Ma nel momento in cui non vi saranno consoli né maestro del popolo, gli auspici spettino ai senatori, ed essi delegheranno fra loro quelli che possano convocare i comizi e nominare legalmente i consoli."

"Le autorità militari e civili, gli ambasciatori, per decreto del senato e dietro ordine del popolo, escano di città, conducano guerre legittime legalmente, risparmino gli alleati, frenino se stessi ed i loro amici, accrescano la gloria del loro popolo, tornino a casa con dei meriti."

"A nessuno sia conferita qualità di ambasciatore per interesse privato."

" Abbia la plebe come suoi tribuni i dieci creati a sua difesa contro la violenza, e quello che essi vietino e quel che sarà ordinato dalla plebe, sia irrevocabile; essi siano sacri ed inviolabili, né la plebe sia mai lasciata priva dei tribuni."

[10]" Tutti i magistrati abbiano potere di trarre auspici e di giudicare, ed il senato sia costituito da questi; i suoi decreti siano irrevocabili; ma in caso di opposizione di un potere pari o maggiore, vengano conservati per iscritto."

"L'ordine senatorio sia esente da difetti, sia di esempio agli altri."

"L'elezione dei magistrati, le deliberazioni del popolo, i precetti e i divieti quando sono confermabili con voto, siano noti agli ottimati e liberi alla plebe."

IV." Ma se vi sarà qualcosa che sia utile curare al di fuori dei magistrati, il popolo nomini chi se ne curi e gliene conferisca il diritto."

"Il console, il pretore, il maestro del popolo e dei cavalieri e colui che i senatori presenteranno per la nomina dei consoli, abbiano il diritto di trattare col popolo e col senato; ed i tribuni che la  plebe ha creato per sé, abbiano diritto di trattare col senato; ed i medesimi riferiscano alla plebe ciò che sarà necessario."

"Le proposte fatte al popolo ed ai senatori siano moderate."

[11] "II senatore che non si presenti si giustifichi o sia colpevole; il senatore parli quando è il suo turno e con misura, sostenga la causa del popolo."

"II popolo si astenga dalla violenza. L'autorità pari o maggiore valga di più. Ma se qualche fermento turberà la discussione, la colpa sia dell'oratore. Chi si oppone ad una cattiva deliberazione sia considerato cittadino benemerito dello Stato."

"Quelli che convocheranno assemblee osservino gli auspici, obbediscano al pubblico augure, le proposte siano rese note pubblicandole nel Foro, procedano ad una sola deliberazione per volta sui singoli casi, informino il popolo dell'argomento, consentano che il popolo sia messo al corrente dai magistrati e dai privati."

"Non si facciano leggi particolari per i privati;  non prendano decisioni sulla vita di un cittadino se non attraverso i massimi comizi  e per mezzo di quelli che i censori registrarono nelle classi del popolo."

"Non accettino né offrano doni, né presentandosi come candidati, né quando  ricoprono né dopo aver ricoperto cariche. Chi avrà violato qualcuna di queste norme abbia pena commisurata alla colpa."

"I censori siano i custodi dell'autenticità delle leggi; i privati rispondano dinanzi a loro dei propri atti, né per questo siano svincolati dalla legge".

"La legge è stata esposta. Ora separatevi e vi farò dare le schede."

V. [12] Quinto: - In forma molto succinta, fratello, ci è stata posta sotto gli occhi la distribuzione di tutti i magistrati, ma essa è quasi quella della nostra città, anche se da te è stato aggiunto poco di nuovo.

Marco: - Hai fatto una osservazione molto giusta, Quinto; questo infatti è quel moderato ordinamento dello Stato, che Scipione loda e soprattutto approva in quei libri famosi, né  esso si potrebbe ottenere senza tale distinzione di magistrati. Infatti è bene tener presente che lo Stato è tenuto insieme dalle magistrature e da coloro che le presiedono, e che dal loro ordinamento si può capire quale sia la qualità di ogni Stato. E poiché  i nostri antenati a ciò hanno provveduto con grande saggezza e moderazione,  non hanno avuto assolutamente alcun motivo per le innovazioni, ed io ritengo che oggettivamente non vi fosse molto da innovare nelle leggi.

[13] Attico: - Ed allora, come già hai fatto a proposito della legge sul culto, dietro mio consiglio e richiesta, vorrai spiegarci così anche riguardo ai magistrati, per quali ragioni specifiche si debba fare questa distinzione.

Marco: - Farò come vuoi, Attico, e esporrò per intero tutto questo argomento come fu studiato e discusso dai più dotti Greci e, come ho già programmato,  mi occuperò delle nostre leggi.

Attico: - Mi aspetto proprio un tal genere di esposizione.

Marco: - Eppure il più già è stato esposto in quei libri, cosa che pur doveva essere fatta,  quando si indagava sulla forma migliore di Stato; ma alcune questioni su questo argomento dei magistrati furono studiate con molta sottigliezza prima da Teofrasto, poi dallo stoico Diogene.

VI. [14] Attico: - Davvero? Anche dagli Stoici fu trattato questo?

Marco: - Non del tutto, salvo da colui che ho menzionato poco fa, e poi soprattutto da quel grande e coltissimo uomo, che fu Panezio. Gli  antichi, sia pure con parole piene di finezza, erano soliti discutere, sì,  ma non per l'utilità pratica del popolo e dello Stato. Queste dottrine derivarono prevalentemente da questa Accademia e in primo luogo da Platone.  Successivamente Aristotele illustrò nei  suoi trattati tutta questa materia politica, ed Eraclide Pontico, muovendo sempre da Platone.  Teofrasto, dal canto suo,  discepolo di Aristotele, pose il suo principale studio, come sapete, in mezzo a tal genere di problemi, ed anche Dicearco, istruito dallo stesso Aristotele, non mancò d'applicarsi a questo genere di studi. Quindi, sulla scia di  Teofrasto, quel Demetrio Falereo già da me citato, trasse in maniera ammirevole questa scienza non solo dalla quiete tranquilla dei dotti al sole ed alla polvere, ma addirittura nei pericoli della lotta politica. Possiamo infatti ricordare molti grandi uomini politici pur di mediocre cultura e molti uomini coltissimi  non molto interessati alla vita pubblica; ma al di fuori di questi, chi potremmo facilmente individuare che eccellesse in ambedue le attività, e fosse il più grande sia negli studi scientifici sia nella gestione dello Stato?

Attico: - Penso che lo si possa trovare, e precisamente qualcuno di noi tre; ma continua come avevi iniziato.

VII. [15] Marco: - Da quegli studiosi fu posto dunque il quesito, se in uno Stato potrebbe avere successo la presenza di un solo magistrato cui gli altri fossero sottoposti. Il che, lo capisco,  piacque ai nostri antenati dopo la cacciata dei re. Ma poiché l'ordinamento monarchico, un tempo apprezzato, venne in seguito ripudiato non per difetto del regno in sé, ma per i difetti del re, sembrerà che sia  stato ripudiato il nome soltanto di re, ne resterà invece la sostanza, se uno solo avrà giurisdizione su tutti gli altri magistrati.

[16] Perciò non a caso a Sparta Teopompo contrappose ai re gli efori, e noi i tribuni ai consoli. Infatti il console ha appunto quello che gli è riconosciuto di diritto, la facoltà di farsi obbedire da tutti gli altri magistrati ad eccezione del tribuno, il quale venne istituito in un secondo tempo affinché non vi fossero più quegli inconvenienti che si erano verificati in passato. E questo evento, in primo luogo, la nascita di una magistratura non soggetta ad esso,  sminuì il potere consolare, e secondariamente il fatto che essa recò appoggio non soltanto agli altri magistrati, ma anche ai privati che non obbedissero al console.

[17] Quinto: - Tu  parli di un grande male; infatti con la nascita di questo potere, il prestigio degli ottimati decadde e si rafforzò la violenza della folla.

Marco: - Non è così, Quinto. Infatti non solo quella potestà consolare doveva sembrare al popolo troppo superba, ma anche   prepotente.  Ma quando  si fece strada un moderato e saggio temperamento*...  la legge deve essere eguale per tutti.

VIII. [18] " Ritornino a casa con le lodi ". Nulla di più, infatti, al di fuori della lode, i cittadini onesti ed integerrimi dovrebbero riportare sia dai nemici sia dagli alleati. Ed è certamente evidente questo ormai, che non c'è nulla di più vergognoso che farsi mandare in missione, se non sia per pubblica utilità. Tralascio di ricordare come si comportino e si siano comportati coloro che si servono di un incarico per stare dietro alle loro eredità o ai loro crediti. Questo è forse un difetto tipico dell'uomo; ma mi domando che cosa vi può essere di più squallido  di un senatore investito d'un incarico senza alcun obbligo, senza mandato, senza alcun compito di pubblico interesse? Questo genere di missioni io l'avrei soppresso nella mia veste di console, con l'approvazione unanime del senato, sebbene ciò sembrasse strettamente pertinente i senatori, se un tribuno della plebe, un tipo bizzarro, non mi avesse posto il veto. Riuscii tuttavia a limitarne la durata, e ciò che era a tempo indeterminato, lo feci ridurre ad annuale. Rimane così questa macchia, però quanto meno  è stata eliminata la durata. A questo punto ormai, se volete, lasciamo le province e ritorniamo a Roma.

Attico: - A noi sta bene così, ma non lo vorranno affatto i funzionari provinciali.

[19] Marco: - Però, Tito, se i governanti obbediranno a queste leggi, per loro nulla sarà più dolce della città, della loro casa, e nulla di più faticoso e fastidioso della provincia. Ma ora viene di seguito la legge che stabilisce quella potestà dei tribuni della plebe, la quale già è nel nostro Stato; e di essa non sarebbe necessario discutere.

Quinto: - Ma, per Ercole, ti chiedo, fratello, che ne pensi di questa magistratura. A me infatti sembra persino pestifera, poiché nacque nella rivoluzione e per la rivoluzione; se  vogliamo ricordarne le fasi iniziali, vediamo che esse presero corpo tra le guerre civili e mentre i quartieri della città erano invasi ed assediati. In seguito, essendo essa stata subito soppressa , secondo il testo delle XII tavole, come un bambino colpito da malformazione, in breve e non so come, fu ristabilita e rinacque molto più deforme e ripugnante di prima.

IX. Quali leggi infatti quel magistrato non tirò fuori? E  in primo luogo, come ben si addiceva ad un empio, quello sottrasse ogni titolo di merito ai senatori, pareggiò gli infimi gradi ai massimi, tutto sconvolse creando confusione; e, dopo avere scosso il prestigio dei principali funzionari, non rimase affatto tranquillo.

[20] E, per tacere di C. Flaminio e di quegli episodi che ormai già sembrano remoti per la loro antichità, il tribunato di Tiberio Gracco quale diritto lasciò intatto ai galantuomini ? Eppure cinque anni prima un uomo d'infima origine e spregevole quanto mai, il tribuno della plebe C. Curiazio, aveva mandato in prigione D. Bruto e P. Scipione - che uomini, e quanto grandi !-,  fatto questo mai verificatosi in passato. Ma il tribunato di C. Gracco con le turbolenze e con quei pugnali, che egli stesso affermò d'aver gettato nel Foro, affinchè con essi i cittadini si sgozzassero fra di loro, non sconvolse forse del tutto le condizioni dello Stato? E che altro dovrei dire ormai di Saturnino, di Sulpicio, di tutti gli altri? E questi lo Stato non potè allontanare da sé senza l'uso delle armi.

[21] E perché poi dovrei ricordare o fatti antichi o estranei anziché i nostri e per di più recenti? Chi, io dico,  avrebbe potuto mai essere tanto temerario, tanto nemico nei nostri confronti, da pensare di farci precipitare giù dalla nostra posizione, se non avesse  puntato contro di noi il pugnale di qualche tribuno? Ma poiché questi uomini scellerati e disperati non poterono trovarlo in nessuna casa, né in nessuna famiglia, credettero di poter sconvolgere le masse nelle zone tenebrose dello Stato. Notevole e degno d'immortale ricordo è per noi il fatto che per nessun compenso si potè trovare alcun tribuno contro di noi, se non uno per il quale non sarebbe stato neppure  legale essere tribuno.

[22] Ma quello quali stragi compì! Esse furono tali, quali solo la furia di una belva impura, accesa dal furore di molti avrebbe potuto provocare, senza una ragione e senza alcuna onesta speranza. Ed è per questo motivo che io apprezzo vivamente Silla, che con la sua legge tolse ai tribuni della plebe la possibilità di nuocere, lasciando loro quella di portare aiuto alla plebe; ed io sempre esalto con grandi e ampi riconoscimenti il nostro Pompeo per tutto il resto, preferisco tacere per quanto conceme la potestà tribunizia. Infatti non mi farebbe piacere criticarlo, ma nemmeno potrei lodarlo.

X. [23] Marco: - Tu scorgi molto bene i difetti del tribunato, Quinto, ma in ogni accusa sarebbe ingiusto dare risalto ai difetti ed enumerare i mali, dimenticando gli aspetti positivi; è ovvio che in questo modo si può rimproverare anche il consolato, col raccogliere le colpe di quei consoli, che non sto ad elencare. Anch'io infatti ammetto che in questa magistratura c'è qualcosa di negativo; ma senza questo male non avremmo nemmeno i vantaggi che ne sono derivati. "Eccessivo è il potere dei tribuni della plebe."  E chi lo nega? Ma è molto più crudele e sfrenata la violenza della plebe, eppure questa, quando trova una guida, è talvolta più docile che se non ne avesse alcuna. Un capo infatti sa bene di procedere a proprio rischio e pericolo, ma l'irruenza della folla non sempre ha consapevolezza del proprio pericolo.

[24] "Ma qualche volta sì infiamma." E in verità  spesso si calma. Quale organo collegiale potrebbe essere così disperato, da non avere fra dieci suoi componenti qualcuno sano di mente?  Che anzi proprio un oppositore, che era stato non solo trascurato, ma addirittura soppresso,  condusse alla rovina lo stesso Tiberio Gracco.  Che altro infatti lo abbattè, se non il fatto di avere annullato il potere al collega che gli si opponeva ? Ma tu scorgi in quell'episodio la saggezza dei nostri antenati: dopo che dai patrizi fu concessa alla plebe questa magistratura le armi caddero, la rivoluzione fu spenta, si trovò un compromesso, per cui gli individui delle classi più umili potessero credere di essere equiparati agli ottimati; ed in questo solo provvedimento vi fu la salvezza dello Stato. " Ma i Gracchi furono due."  Ed oltre a quelli, sebbene si possano contarne molti,  dal momento che erano nominati a dieci per volta,  troverai vari tribuni assolutamente funesti nel ricordo di tutti, ed anche di avventati, di non buoni forse di più:  la classe alta non è più malvista, la plebe non fa più  azioni di lotta per i suoi diritti.

[25] Perciò o non si sarebbero dovuti cacciare i re, o si doveva concedere alla plebe una libertà concreta, non a parole. Questa tuttavia fu concessa in modo tale da  cedere all'autorità dei più ragguardevoli cittadini,  grazie  numerose ottime istituzioni.

XI. La mia attività politica la quale, ottimo e caro fratello, si scontrò con l'autorità tribunizia, non ebbe alcuna contesa col tribunato in sé.Non fu infatti la plebe eccitata a scagliarsi contro i nostri beni, ma furono aperte le prigioni e furono aizzati gli schiavi, aggiungendovi per di più il terrore militare. Ed io allora non ebbi alcuno scontro con quell'uomo pestifero, ma con la gravissima situazione politica, per cui se io non mi fossi piegato, la mia patria non avrebbe conseguito un duraturo frutto del beneficio da me fattole. E questo fu confermato dalla conclusione degli avvenimenti:  chi  vi fu, non solo di libera condizione, ma anche schiavo degno di libertà, al quale non stesse a cuore la nostra salvezza?

[26] Al punto che, se il risultato di quanto feci per la salvezza della patria  fosse stato tale da non essere gradito a tutti, e se invece l' odio fiammeggiante della moltitudine infuriata mi avesse cacciato via e la violenza dei tribuni avesse scagliato contro di me il popolo, così come Gracco contro Lenate, Saturnino contro Metello,  l'avremmo sopportato, fratello mio Quinto, e ci avrebbero dato conforto non tanto quei filosofi vissuti ad Atene,- il cui compito era appunto questo-, quanto piuttosto quegli illustri personaggi che, scacciati da quella città, preferirono essere privati di una città ingrata che rimanere in una disonesta. Tu non approvi molto Pompeo appunto per questa sola circostanza, e ciò mi fa credere che tu non hai seguito con sufficiente attenzione che egli dovette valutare non soltanto quella che era meglio, ma anche ciò che era necessario. S'accorse infatti che non si poteva negare alla cittadinanza il diritto di questa magistratura; considerato che il nostro popolo aveva desiderato tanto ardentemente una autorità ancora ignota, come avrebbe potuto farne a meno dopo averlo conosciuta? Fu dunque da saggio cittadino il non abbandonare ad un altro cittadino pericolosamente popolare una causa di per sé non pericolosa e già così popolare da non potervisi opporre. Tu, fratello, sai che in questo tipo di discussioni, per poter passare ad altro, si è soliti " dire " sta bene " oppure " è proprio così ".

Quinto: - Io invece non sono d'accordo; desidererei però che tu continuassi, passando al resto.

Marco: - Tu dunque persisti e resti della tua precedente opinione.

Attico: - Neppure io, per Ercole, mi trovo in disaccordo col nostro Quinto; ma ascoltiamo quel che rimane.

XII. [27] Marco: - In seguito si attribuisce a tutti i magistrati la facoltà di trarre auspici e di giudicare: i giudizi, affinchè vi fosse un'autorità popolare alla quale appellarsi, gli auspici, affinchè ragionevoli dilazioni impedissero molti comizi inutili; infatti non di rado gli dèi immortali repressero con gli auspici la foga ingiustificata del popolo. Tra quelli vi furono coloro i quali tennero  la magistratura, e questi sono i soggetti che compongono il senato; sarebbe gradito al popolo che nessuno pervenisse alla massima carica se non per elezione popolare, una volta eliminata l'integrazione del senato per opera dei censori. Ma si trova a portata di mano uno strumento che attenua questo difetto, per il fatto che l'autorità del senato viene rafforzata dalla nostra legge. 

[28] Essa  infatti aggiunge: " I suoi decreti siano irrevocabili ".  Infatti le cose stanno in questi termini , cioè, se il senato è arbitro delle pubbliche decisioni,  tutti sostengano quanto esso ha stabilito, e se le altre classi vogliono che lo Stato sia governato dal consiglio di questa classe di ottimati, è possibile,  mediante il giusto equilibrio dei diritti, risiedendo il potere nel popolo e l'autorità nel senato, mantenere  lo Stato in condizioni di normalità e di concordia, soprattutto se viene osservata la legge successiva, la quale afferma: " Questo ordine sia esente da difetti, sia di esempio agli altri".

Quinto: - Davvero magnifica, questa legge, fratello, ma è anche del tutto chiaro che quest'ordine sia del tutto esente da difetti, ed inoltre esige l'intervento del censore per la sua interpretazione.

[29] Attico: - Ma quest'ordine, sebbene sia tutto tuo e conservi il ricordo riconoscente del tuo consolato, potrebbe stancare, con tua buona pace, consentimi di dirlo, non solo i censori, ma anche tutti i giudici.

XIII. Marco: - Lascia stare questi argomenti, Attico; questa discussione non riguarderà  questo senato né questi uomini che vi sono oggi, ma quelli futuri, se alcuni per caso vorranno obbedire a queste leggi. Infatti poiché la legge impone che quest'assemblea sia esente da ogni difetto, non sarà nemmeno ammesso in quest'ordine alcuno partecipe di azioni indegne. E ciò in pratica è difficile da attuarsi, se non grazie ad una certa educazione e disciplina; delle quali forse diremo qualcosa, se rimarrà un po' di tempo e l'occasione.

[30] Attico: - L'occasione certo non mancherà, poiché tu stai seguendo l'ordinata successione delle leggi;  il tempo, poi,  ce lo dà la lunghezza della giornata. Ed anche se ti passasse dalla mente, sarò io a rammentarti questo punto della educazione e della disciplina.

Marco: - E tu chiedimi liberamente, Attico, sia questo sia qualunque altro argomento su cui sarò passato oltre. " Sia di esempio agli altri ". Se [abbiamo] questo, abbiamo tutto. Come infatti l'intera città è di solito contaminata dalle passioni e dai vizi dei principali esponenti, così essa viene risanata e corretta dal loro equilibrio. Si raccontava che quel grande uomo ed amico di noi tutti, L. Lucullo, al rimprovero che gli era stato mosso circa la magnificenza della sua villa di Tuscolo, avesse risposto molto garbatamente, di avere due vicini, un cavaliere romano quello di ceto più elevato, e un liberto di ceto inferiore; avendo costoro delle ville magnifiche, si doveva pur concedere a lui quanto era lecito a coloro che appartenevano ad una classe inferiore. Ma non vedi, Lucullo, che da te nacque appunto quel problema, cioè che essi desiderassero ciò che a loro non sarebbe stato lecito, se tu non l'avessi fatto?

[31] E chi mai avrebbe potuto sopportare tali uomini, vedendo le loro ville zeppe di statue e di quadri, in parte appartenenti allo Stato, in parte perfino ad enti religiosi e luoghi sacri? Chi non metterebbe fine alle loro brame, se appunto coloro che dovrebbero frenarle, non fossero succubi della stessa cupidigia?

XIV. Ma i difetti degli ottimati non sono tanto un male in sé, sebbene questo sia già un grande male di per sé stesso, quanto per il fatto che degli ottimati spuntino fuori moltissimi imitatori. È possibile vedere infatti che, volendo andare indietro nel tempo, a seconda di quali siano stati i maggiori esponenti della città, tale fu pure la città; e qualunque cambiamento morale si sia manifestato negli ottimati, il medesimo cambiamento ne è seguito nel popolo.

[32] E questo è molto più vero di quanto ritiene il nostro Platone.  Egli afferma che le condizioni dello Stato mutano col mutare degli stili musicali; io invece penso che i costumi delle città cambino dopo che è cambiato il tenore di vita dei nobili. Per questo appunto i maggiori responsabili della rovina dello Stato sono i nobili corrotti, in quanto non soltanto nutrono in sé i propri vizi, ma li trasmettono ai cittadini, e sono di danno non soltanto per la loro stessa corruzione, ma anche perché essi corrompono, e nuocciono più con il cattivo esempio che con la loro colpa. E questa legge, estesa a tutta una categoria, può avere un'applicazione anche più ristretta; pochi infatti, molto pochi sono quelli che, ingranditisi per onori e per gloria, possono o corrompere o correggere i costumi dei cittadini. Ma di ciò si è detto abbastanza anche ora, e se ne è già trattato in altri libri in maniera più approfondita. Perciò passiamo al resto.

XV. [33] II prossimo argomento riguarda le votazioni, di cui vorrei che gli ottimati fossero informati, e libere al popolo.

Attico: - Così ho inteso, ma non mi è stato abbastanza chiaro che cosa volesse dire questa legge o queste parole.

Marco: - Lo dirò, Tito, e dovrò trattenermi su un argomento difficile, molto e spesso dibattuto, se sia meglio cioè il voto segreto o quello pubblico nell'elezione di un magistrato o nel giudicare un imputato e nel proporre o decretare una legge.

Quinto: - Ma c'è da dubitarne? Temo di non essere nuovamente d'accordo con te.

Marco: - Non lo sarai, Quinto. Infatti io ho quest'opinione che so essere sempre stata condivisa da te, cioè che nelle votazioni nulla vi sarebbe di meglio della dichiarazione verbale; ma occorre che si accerti se sussistano le condizioni perché si possa fare.

[34] Quinto: - Eppure, fratello, con tua buona pace, oserei dire, quest'opinione in particolare ed inganna gli inesperti ed assai spesso nuoce al pubblico interesse, quando si dice che qualcosa è vera e giusta, ma si afferma che non si può ottenere, cioè che non è possibile opporsi al popolo. Ci si oppone infatti in primo luogo agendo con severità, e secondariamente subire violenza per una causa buona è meglio che assecondarne una cattiva. Chi non s'accorge infatti che la legge tabellaria ha annullato tutta l'influenza degli ottimati? Legge che il popolo libero mai aveva desiderato, ma che chiese con insistenza invece quando fu oppresso dalla dominazione e dal potere dei capi. Pertanto quando si debbono giudicare i personaggi più potenti, risultano più severi i giudizi dati a voce di quelli della scheda. Per tal motivo si sarebbe dovuto impedire ai potenti l'eccessiva voglia di racimolare voti in cause non oneste, piuttosto che offrire al popolo un rifugio, nel quale mentre i galantuomini ignorano ciò che ciascuno di loro pensa, con la scheda esso nasconde un voto riprovevole. Pertanto non si trovò mai una persona retta che volesse suggerire o presentare un tale progetto di legge.

XVI. [35] Quattro sono infatti le leggi tabellari la prima delle quali  riguarda l'elezione dei magistrati; essa è la Gabinia, presentata da un uomo di estrazione sociale bassa e volgare. Due anni dopo arrivò la legge Cassia sui processi popolari, proposta da L. Cassio, nobile ma, con buona pace della sua famiglia, in disaccordo con i galantuomini, e bramoso di monopolizzare ogni minimo accenno di favore accarezzando il popolo. La terza è quella di Carbone, riguardante l'approvazione o il rigetto delle leggi; cittadino, questo, turbolento e disonesto, al quale non potè procurargli sicurezza da parte dei galantuomini nemmeno l'aver fatto ritomo fra di loro.

[36] In un solo genere di dichiarazioni, per il quale aveva fatto eccezione lo stesso Cassio, sembrava essere lasciato il voto verbale, quello di alto tradimento. Ma anche a questa sorte di processi C. Celio impose la scheda, e finché visse si rammaricò di avere procurato un danno allo Stato pur di far condannare G. Popilio. Anche il nostro nonno, eccezionalmente probo tra i cittadini di questo municipio, finché visse, si oppose a M. Gratidio che proponeva una legge tabellaria, quantunque ne avesse sposato la sorella, che era nostra nonna; infatti Gratidio, com'egli era solito dire, sollevava tempeste in un bicchiere, quelle che poi suo figlio Mario sollevò nel mare  Egeo. Ed a nostro nonno il console M. Scauro, informato della cosa, disse: " Dio volesse, M. Cicerone, che con questo tuo carattere e questo tuo rigore morale tu avessi preferito occuparti di tutto lo Stato insieme a noi, anziché di questo tuo municipio!"

 [37] Per questo dunque, poiché non stiamo ora passando in rassegna le leggi del popolo romano, ma o rievochiamo quelle abolite o ne scriviamo di nuove, credo che tu dovresti dire non quello che si possa ottenere con questo popolo, ma quello che di per se è ottimo. Infatti il tuo Scipione, che si dice appunto ne sia stato il suggeritore, porta la colpa della legge Cassia; tu invece risponderai di persona, se proporrai una legge tabellaria. Essa infatti non piacerebbe né a me né, a giudicare dalla sua faccia, al nostro Attico.

XVII. Attico: - Ma a me non è mai piaciuta alcuna forma di istituzione democratica, e sostengo che la miglior forma di Stato è quella che costui aveva stabilito durante il suo consolato, che si basa sul potere degli ottimati.

[38] Marco: - Anche voi, da quel che vedo, avete re spinto la legge senza l'uso della scheda. Ma, pur avendo parlato abbastanza  Scipione in sua difesa in quei libri, nonostante tutto io concederei al popolo questa libertà, in modo che i migliori godano di autorità e di prestigio. Infatti la legge sulle votazioni è stata così enunciata da me: " Siano a conoscenza degli ottimati e liberi alla plebe ". Una tale legge contiene questo concetto, in maniera tale da annullare tutte le leggi che furono proposte in seguito, le quali con ogni trucco nascondono il voto, affinchè nessuno veda sulla scheda, nessuno solleciti il voto, nessuno faccia degli appelli. La legge Maria fece stretti anche i ponti.

[39] E se tutte queste norme si oppongono agli ambiziosi, come effettivamente lo sono per lo più, io non le critico; ma se le leggi avessero efficacia per eliminare i brogli elettorali, il popolo abbia pure la scheda, quasi garanzia di libertà, purché questa scheda possa essere mostrata a tutti i migliori e più seri cittadini e venga  esposta spontaneamente; in tal modo con questo stesso atto si manifesti la libertà per cui si dà al popolo la facoltà di rendere onestamente un servigio ai galantuomini. Perciò ora accade quello che tu poco fa hai detto, Quinto, che la scheda ne condanna molto meno di quanti di solito ne condannasse il voto verbale, poiché il popolo è soddisfatto di averne la facoltà. Ottenuto ciò,  egli affida gli altri suoi voleri al prestigio o alla riconoscenza. E così, per non parlare delle votazioni corrotte dall'elargizione di danaro, non vedi che, allorché tace l'intrigo, ci si informa durante le votazioni cosa ne pensino i miglioi cittadini? Ecco dunque che con la nostra legge si concede l'apparenza della libertà, si mantiene il prestigio dei galantuomini, si elimina una causa di contrasti.

XVIII. [40] Segue poi l'articolo relativo a chi debba avere la facoltà di trattare col popolo o col senato. Legge severa, a quel che penso, ed eccellente: " [Le proposte fatte al popolo] ed ai senatori siano misurate ", cioè, equilibrate e ponderate. Il presentatore infatti governa e plasma non soltanto le menti e la volontà, ma quasi il volto stesso di coloro ai quali si rivolge. Il che non è difficile tranne che in senato, poiché il senatore è appunto tale da non lasciar trasportare il proprio animo dall'oratore, ma da voler capire tutto da se stesso. Per questo esistono  tre precetti:  che  intervenga; infatti la discussione acquista in serietà quando l'assemblea è al completo; che parli quando è il suo turno, cioè quando è interpellato; che  non sia prolisso. Infatti la concisione nell'esporre il proprio pensiero è un grande pregio non soltanto del senatore, ma anche dell'oratore. Né  ci si dovrebbe mai servire di un  lungo discorso, - il che accade spessissimo per gli intrighi - se non nel caso in cui per colpa del senato sia utile far perdere un giorno senza l' intervento propizio di un magistrato, oppure quando l'argomento è di tale importanza, che sia necessaria la facondia dell'oratore per esortare o per dimostrare; ed in ambedue questi generi è grande il nostro Catone.

[41] E quanto poi all'aggiunta della frase " sostenete la causa del popolo", è necessario al senatore conoscere a fondo le condizioni dello Stato - e questo è più che chiaro: quanti soldati vi siano sotto le armi, quale la consistenza del tesoro, quali siano gli alleati dello Stato, quali gli amici, quali i popoli  tributari, quali siano le leggi, le condizioni ed i trattati d'alleanza di ciascuno, - avere pronte le formule dei decreti, conoscere gli esempi degli antichi. Voi potete ormai scorgere in questo  un genere di conoscenza, di preparazione, di memoria, senza del quale un senatore non può in nessun modo essere preparato.

[42] Inoltre vi sono i rapporti col popolo, fra i quali la prima e più importante norma è " stia lontana la violenza ". Nulla infatti è più dannoso per gli Stati, nulla tanto contrario al diritto ed alle leggi, nulla meno civile e più disumano che affrontare dei problemi con la forza in uno Stato ben ordinato e strutturato. Si impone poi di obbedire a chi si presenta come oppositore, di cui nulla vi è di più importante: è infatti meglio bloccare una iniziativa buona anziché avviarne una cattiva.

XIX. In quanto al punto dove stabilisco che "la colpa sia del presidente ", tutto ciò l'ho detto in base al pensiero di Crasso, uomo di grandissima saggezza; il senato lo approvò, e questo in occasione della relazione del console C. Claudio sulla sommossa di Cn. Carbone, dopo aver decretato che nessuna sommossa poteva mai verificarsi contro la volontà di chi aveva convocato il popolo, potendo egli sciogliere l'assemblea non appena si facesse opposizione e s'incominciasse a creare torbidi. Chi persiste nelle agitazioni, quando non si può decidere nulla, va in cerca di violenza, per la quale non può rimanere impunito in base a questa legge.

[43]Segue il comma  " chi si oppone ad una cattiva deliberazione sia considerato cittadino benemerito dello Stato". E chi non s'impegnerebbe a soccorrere lo Stato, se viene lodato dalla voce di una legge così esemplare? Seguono quindi le norme che abbiamo anche nelle nostre pubbliche istituzioni e leggi: "osservino gli auspici, obbediscano all'augure". È dovere dell'augure coscienzioso ricordarsi che deve essere d'aiuto nelle più gravi circostanze dello Stato, e che egli è stato assegnato a Giove Ottimo Massimo quale sacerdote e annunciatore dei suoi consigli, così come per lui sono quelli cui egli abbia ordinato di assisterlo negli auspici;  a lui sono state assegnate porzioni definite di cielo, dalle quali spesso egli porti soccorso alla cittàdinanza. Seguono poi le norme circa la promulgazione delle leggi, del trattare un affare per volta, del dare ascolto ai privati ed ai magistrati.

[44] Ed ecco due magnifiche leggi dedotte dalle dodici tavole, delle quali la prima sopprime i privilegi, e l'altra fa divieto che si decida della vita di un cittadino al di fuori dei comizi centuriati. Ed è veramente cosa degna d'ammirazione che, quando non si erano ancora inventati i tribuni della plebe, anzi non si era ancora neppure pensato ad ciò, i nostri antenati abbiano dato saggio di tanta previdenza per il futuro. Essi non vollero che si promulgassero leggi a favore di privati cittadini; non vollero, cioè privilegi, dei quali che cosa vi è di più ingiusto, dal momento che questa è la forza della legge: l'essere un decreto ed un ordine valido per tutti. Non vollero proposte riguardanti una persona sola,  se non nei comizi centuriati; infatti il popolo diviso per censo, per classi, per età, nel dare il suo voto usa maggior ponderazione di quando è convocato disordinatamente nelle tribù.

[45] Per la qual cosa con maggior verità L. Cotta, uomo di grandissima intelligenza e saggezza, era solito dire che nulla era stato fatto contro di noi nella causa che ci riguardava; perché, oltre al fatto che quei comizi erano stati tenuti sotto la minaccia di schiavi armati, i comizi tributi non potevano essere competenti in cause penali e  nessun comizio poteva deliberare circa una persona privata;  pertanto noi non avevamo bisogno di alcuna legge, poiché nulla era stato condotto legalmente nei nostri riguardi. Ma da voi due e dagli uomini più illustri  fu visto molto bene come tutta l'Italia dimostrò il proprio pensiero intomo a quella stessa persona contro la quale una masnada di schiavi e di briganti diceva di aver espresso una condanna.

XX. [46] Seguono gli articoli circa l'accettazione di doni in denaro e circa i brogli elettorali. E poiché le leggi devono essere rese efficaci più con i processi che con le parole, si aggiunge: "Vi sia una pena pari alla colpa", affinchè ciascuno sia colpito secondo la sua colpa, la violenza con la morte, l'avidità con un'ammenda, l'ambizione sfrenata per gli onori  con l'infamia. Le ultime leggi non sono in vigore presso di noi, eppure necessarie allo Stato. Non abbiamo alcun depositario della legge; pertanto le leggi sono quali le vogliono i nostri cancellieri; le andiamo a chiedere ai copisti, non abbiamo nessun documento pubblico inserito in atti pubblici. I Greci agirono con maggiore diligenza; presso di loro si nominavano dei " custodi delle leggi ", ed essi non solo custodivano il testo autentico - il che si faceva anche presso i nostri antenati -, ma essi  osservavano anche le azioni degli individui e li richiamavano all'osservanza delle leggi.

[47] Questo incarico dovrebbe essere affidato ai censori, dal momento che noi vogliamo che  essi siano sempre presenti nel nostro Stato. Coloro i quali escono da una magistratura  dichiarino ed espongano presso i medesimi ciò che essi hanno compiuto durante tutta la carica ricoperta, ed i censori ne diano un giudizio preliminare. Questo in Grecia lo si fa nominando dei pubblici accusatori, i quali non possono agire con severità se non sono volontari. Per questo è meglio che si dia conto ai censori e si espongano loro le giustificazioni, e che tuttavia resti immune da pregiudizi l'azione della legge, dell'accusatore e dell'autorità giudiziaria. Ma ormai abbiamo discusso abbastanza dei magistrati, a meno che non vogliate  sapere qualcosa di più.

Attico: - Perché? Se noi ce ne stiamo zitti, l'argomento stesso non te lo richiama in mente. Che cos'altro dovresti dirci?

Marco: - Io? Credo qualcosa sui processi, Pomponio;  questo infatti è connesso con i magistrati.

[48] Attico: - Dunque, pensi di non doverci dire nulla delle leggi del popolo romano, così come hai incominciato?

Marco: - Su questo argomento che cosa hai da chiedere?

Attico: - Io? quello appunto che ritengo vergognosissimo sia ignorato dagli uomini politici. Come infatti hai detto poco fa, che noi andiamo a chiedere le leggi ai copisti, così ho l'impressione che i più dei magistrati, per ignoranza delle norme giuridiche che li interessano, capiscono solo quel tanto che gli scrivani gli permettono. Per cui, se hai ritenuto opportuno parlare del passaggio dele cerimonie private, quando hai proposto le leggi sul culto, dovresti ora trovare il modo, dopo aver predisposto per legge le magistrature, di discorrere della giurisdizione delle singole autorità.

[49] Marco: - Lo farò rapidamente, se mi sarà possibile; infatti l'amico M. Giunio ne scrisse diffusamente a tuo padre, con periziaa, a mio avviso, e con diligenza. Ma noi dobbiamo ragionare e parlare del diritto naturale secondo il nostro criterio, mentre del diritto del popolo romano dovremmo esporre ciò che è rimasto valido e che ci è stato tramandato.

Attico: - Credo anch'io così, e mi aspetto appunto ciò che dici.


 FRAMMENTI

1. E dovremmo congratularci con noi stessi, poiché la morte ci apporterà una condizione o migliore di quella che abbiamo in vita, o certamente almeno non peggiore; infatti divina è una vita senza corpo col pieno vigore dell'anima, e nulla certamente vi sarebbe di male laddove venisse meno la sensazione del medesimo.

2. Come il mondo è connesso e si sostiene perché tutte le sue parti concordano per la comunanza di un'unica natura, così gli uomini  mescolati tra di loro per natura, discordano per errore di giudizio e non capiscono di essere consanguinei e soggetti ad un'unica e medesima tutela; ma se questo principio fosse fissato bene, gli uomini vivrebbero certamente una vita da dèi.

3. Grave ed audace deliberazione prese la Grecia per aver consacrato nei ginnasi le statue dei Cupidi e degli Amori.

4. Chi potrà proteggere gli alleati, se non saprà scegliere fra le cose utili e le inutili?

5. Poiché il sole pare essersi ormai abbassato un poco dalla posizione del mezzogiorno e tutto questo posto non è più sufficientemente ombreggiato da queste piante novelle, non vorresti che scendessimo al Liri, e continuassimo ciò che resta all'ombra di quegli ontani ?

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Traduzione di V. Todisco, maggio 2003 

versione di riferimento N. Marinone, 1976


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