Orazione in difesa di Marco Celio |
Traduzione
I [1] Se per un caso, o giudici, si presentasse qui un cittadino, del tutto
ignaro delle leggi, della procedura, dei nostri usi, si chiederebbe sorpreso
perché mai questo processo sia di una gravità tale, che in un giorno di festa e
di pubblici giochi, quando ogni altra attività forense è sospesa, unico venga
qui celebrato; e non avrebbe dubbio che si stia processando il colpevole di un delitto
di tal fatta che, se trascurato, la città non rimarrebbe più in piedi. Quando
poi venisse a conoscere, che c'è una legge che impone si debba procedere in
qualsiasi giorno contro i cittadini sediziosi e facinorosi, che armati abbiano
stretto d'assedio il Senato, fatto violenza ai magistrati, attentato allo
Stato, non disapproverebbe certamente una tale legge, ma vorrebbe sapere di quale di
questi delitti si tratti qui. E quando sapesse che non si tratta né di un attentato,
né di un colpo di mano o di una violenza qualsiasi, ma bensì di un giovane noto
per il brillante ingegno, per operosità, per simpatia, accusato dal figlio
di colui che per ben due volte egli citò in giudizio, attaccato grazie ai mezzi di
una prostituta, egli non condannerà certamente la filiale devozione di lui, ma
chiederà che sia represso quel vergognoso capriccio di una donna; e vi giudicherà vittime
di un esagerato zelo di lavoro, che non vi concede neppure quel riposo di
cui tutti godono.
[2] E in verità, se voi
vorrete attentamente considerare e apprezzare sotto ogni aspetto questa
causa, voi arriverete, o giudici, alla conclusione che nessuno, libero nel
proprio volere, si sarebbe mai abbassato a una tale accusa, né, una volta lanciata,
nutrirebbe per essa un briciolo di speranza, se non fidando sull'intollerabile
arbitrio e sull'odio violentissimo di qualcuno. Quanto a me, io perdono Atratino, mio giovane amico
pieno di cultura e di bontà, poiché lo scusano, o la reverenza, o la necessità,
o l'età. Se egli personalmente volle l'accusa, ne dò colpa alla devozione filiale; se
gli fu imposta, alla costrizione; se ne sperò qualcosa, alla immaturità degli anni.
Contro gli altri, non solo nessun perdono, anzi si deve opporre una fiera resistenza.
[4] Quanto poi all'accusa contro il giovane Celio, di essere egli figlio
non più che di un cavaliere romano, è cosa sconveniente per voi giudici, quanto
per me difensore. E quanto a ciò che fu detto sul suo rispetto verso il padre,
non può essere, da parte nostra, che un semplice apprezzamento; un giudizio,
solo il padre lo può dare. Del resto, ciò che al riguardo è solo un nostro pensiero,
lo sentirete dai testimoni; e quale sia il sentimento dei genitori, ve lo
dice il pianto e lo strazio inenarrabile della madre, l'avvilimento del
padre, questa pesante tristezza e il lutto che gli leggete in volto.
[5] Quanto all'altra accusa, di non essere il
giovane Celio apprezzato dai suoi concittadini, dirò che a nessuno mai che sia vissuto
sul luogo furono resi dai Pretuzziani maggiori onori che non a lui assente:
poiché, pur assente, lo elessero a far parte dell'ordine supremo dei decurioni; e a
lui, che non le chiedeva, conferirono alte cariche che a molt'altri,
che le chiedevano, avevano rifiutato. Infine, essi mandarono qui uomini egregi,
dell'ordine cui noi apparteniamo e cavalieri romani a rappresentarli in questo giudizio e a fare
di lui il più autorevole e chiaro elogio. Con ciò mi sembra di aver posto alla mia
difesa le più solide basi, poiché esse son radicate nel giudizio dei suoi, ben
certo che la sua giovinezza non potrebbe essere a voi utilmente raccomandata, se
essa fosse oggetto di disapprovazione, non solo per un tale uomo qual è suo
padre, ma anche per un municipio così illustre e autorevole.
[6] Io stesso, d'altronde, per tornare a me, attinsi a quelle medesime fonti per
crearmi fama tra gli uomini, e la mia forense fatica e la mia condotta di vita
mi conquistarono una certa stima fra di essi, in virtù appunto del benevolo
giudizio dei miei concittadini. Quello, poi, che gli fu imputato come offese
al pudore, quello su cui tutti gli avversari fecero tanto chiasso, non d'accuse
ma di maldicenze, non sarà mai così duro a sopportare da parte di Celio, ch'egli
debba rammaricarsi di non esser nato deforme. Sono le solite malignità che corrono
su coloro verso i quali la giovinezza è prodiga di bellezza di forme e
nobiltà d'aspetto. Ma altro è far della maldicenza, altro accusare. L'accusa vuole
un delitto, e che sia precisato il fatto, e indicato l'autore, e fornita la
prova con argomenti e confermata da testimoni. La maldicenza non mira che a
recare offesa; e se è troppo sfacciata prende il nome di ineducazione, se fatta con garbo,
di arguzia.
[7] E mi sono sorpreso e dispiaciuto
che proprio questa parte dell'accusa sia stata affidata in modo particolare ad Atratino:
non era decoroso, non lo richiedeva la sua età né lo tollerava (e avreste potuto pensarci) il riserbo di quell'ottimo giovane, che proprio lui s'impelagasse in un discorso del genere. Avrei voluto che qualcun altro di voi, più agguerrito, si fosse assunta questa parte del detrattore: quanto più liberamente e vigorosamente e a modo mio avrei contestato queste vostre maligne fantasie! Con te, Atratino, dovrò trattare con maggior riguardo, sia perché la tua delicatezza smorza la mia parola, sia perché io
devo conservare intatto il bene che ho fatto a te ed a tuo padre.
[8] Ma un consiglio voglio darti. In primo luogo, affinché tutti
ti considerino quale veramente sei, che tu cerchi di astenerti, come dalle turpi azioni, così
da ogni licenzioso linguaggio; in secondo luogo, che tu non dica contro altri cose che, se dette falsamente contro di te, ti farebbero arrossire. A chi, infatti, non è aperta dinanzi questa via? Chi non potrebbe, contro un individuo della tua età
e del tuo signorile aspetto, fare della petulante maldicenza, sia pure senza fondamento,
ma non senza parvenza di verità? Ma dell'avere tu assunto questa parte
in una commedia, la colpa è di coloro che vollero fartela rappresentare: tua
invece la lode per l'imbarazzo che, lo vedevamo, inceppava la tua parola, e
per l'ingegno col quale tuttavia la usasti con eleganza e con garbo.
[9] Ma su tutto ciò sarà breve il mio discorso
di difesa; poiché, per quanto poté la giovine età di Marco Celio provocare qualche
sospetto al riguardo, essa fu protetta, anzitutto dal ritegno stesso di lui, poi
dalla vigilanza e dalla severità del padre. Egli, quando lo vestì della toga virile...
(ma io non voglio qui parlare di me: pensatene pure quello che credete) subito lo affidò
(questo solo dirò) a me. E nessuno lo vide mai, nel fiore dell'età sua, se non in
compagnia del padre, o con me, o nella casa intemerata di Marco Crasso, dedicarsi agli studi
più severi .
[10] Quanto all'accusa di intimità con Catilina, nulla di più assurdo. Voi
sapete che Catilina brigò per il consolato con me quando costui era ancora ragazzo:
e se mai egli gli si fosse allora talvolta avvicinato allontanandosi da me, lo
si giudichi pure (sebbene molti giovani di buona famiglia si siano esaltati
per quel folle delinquente) per questo solo troppo amico di Catilina. Ma più tardi (si
ribatte) lo sapemmo e lo vedemmo addirittura fra i suoi amici. E chi lo nega?
Quel che io nego è che lo fosse in quella età che, debole per sé, è più facile
preda alle seduzioni altrui. Quand'io fui pretore, egli fu costantemente con
me; né conosceva Catilina, allora pretore in Africa. Seguì un anno e Catilina
ebbe a subire il processo per concussione. Celio era con me: ma non intervenne mai
a sostenere l'accusato. Infine venne l'anno in cui io chiesi il consolato: Catilina
lo chiedeva con me; e neppure allora Celio si avvicinò mai a lui, mai si staccò
da me.
[11] Fu solo dopo avere per vari anni praticato il foro, senza dar luogo a
nessun sospetto o scandalo, che egli parteggiò per Catilina, nuovamente
candidato al consolato. Ma fino a quando pensate che la sua giovinezza dovesse esser
vigilata? Ci fu un tempo nel quale era a noi prescritto di tenere coperto il braccio con
la toga per un solo anno; e gli esercizi e le manovre al Campo Marzio
dovevamo farli vestiti della tunica; e la stessa regola castrense e militare vigeva
se ci davamo subito alla carriera militare. A quella età, chiunque non si
fosse saputo difendere con la propria serietà e riservatezza, con la educazione domestica,
col naturale istinto del bene, per quanto sorvegliato dai suoi non avrebbe
potuto sfuggire, e meritatamente, ad una cattiva reputazione. Ma chi avesse
conservati integri e immacolati quei primi anni giovanili , quando si
fosse fatto più maturo, uomo fra uomini, nessuno avrebbe sparlato più del suo
onore e della sua dignità.
[ 12] E fu, appunto, solo dopo molti anni di vita forense, che Celio
si entusiasmò per Catilina: ciò che, del resto, accadde a molti altri, di ogni ordine e
di ogni età. E veramente c'erano in lui (lo ricorderete di certo) moltissimi
indizi, non espressi ma appena accennati, di doti eccellenti. Si serviva, è vero, di
molti uomini spregevoli; ma fingeva devozione ai migliori. Le seduzioni del
vizio influivano largamente su di lui, ma insieme lo spronavan gli stimoli dell'attività e
del lavoro. Ardevano in lui gli istinti lascivi; ma era pur vivo l'amore per
la vita militare. Io non credo che sia mai apparso un così straordinario
esemplare di confuso miscuglio di tendenze e passioni tra sé diverse, avverse e contrastanti.
[13] Chi più di lui gradito, a un certo tempo, agli uomini più eminenti, e chi
più stretto ai peggiori? Quale miglior cittadino di lui, in certi momenti, e
quale più orribile nemico della città? Chi più immerso nei piaceri, e più tollerante
delle fatiche? Più avido nel carpire, e più prodigo nel donare? Meraviglioso veramente
in lui, o giudici, il conquistare molti alla sua amicizia, il mantenerli
col rispetto, il mettere il suo in comune con tutti, il soccorrere nel
bisogno gli amici col denaro, col credito, col sacrificio personale, col delitto
stesso, ove fosse necessario, o con l'audacia, il mutare e cambiare l'indole
propria, e torcerla e piegarla or di qua or di là, il vivere austeramente con
le persone serie, lietamente cogli spensierati, serio coi vecchi, cameratesco coi
giovani, sfrontato coi facinorosi, lussurioso con i corrotti.
[14] Con una così varia e multiforme natura, come aveva raccolto intorno a
sé da ogni parte ogni disperata canaglia, così teneva nelle sue fila molte persone
diritte e probe grazie all'apparenza di una finta virtù; né mai sarebbe da lui esploso
un così scellerato furore distruttivo contro lo Stato, se un così grande
cumulo di vizi non si fosse sostenuto sopra un fondamento di duttilità e
di perseveranza. Bando, dunque, o giudici, a quella pretesa avversaria; e l'amicizia
con Catilina non sia apposta come titolo d'accusa. Lo dovrebbe essere
per troppi, e fra questi per molti galantuomini. Io stesso, io, dico, per poco
un tempo non fui tratto da lui in inganno, quando mi parve di vedere in lui
un buon cittadino, sollecito di ogni migliore relazione, amico sincero e fedele?
Le sue infamie mi caddero innanzi agli occhi prima che io le immaginassi, le
toccai con mano prima di sospettarle. Se perciò nella caterva dei suoi amici
ci - fu anche Celio, quel che importa è ch'egli si dolga di aver sbagliato (com'io
mi dolgo e quante volte! - dello stesso errore verso lo stesso uomo), assai
più che non tema gli si faccia di quell'amicizia un'accusa.
[15] Ma intanto, dalle malignità riguardo ai costumi di Celio il vostro discorso è scivolato
via sulla inmgiusta accusa riguardante la congiura. Voi lo avete pur detto, se
pure con qualche incertezza e quasi di sfuggita, ch'egli sarebbe stato, per l'amicizia con
Catilina, partecipe alla sua congiura. Ma su questo terreno, non solo l'accusa
non poté far presa, ma il discorso stesso del mio giovane eloquente avversario a
mala pena si teneva in piedi. Donde mai, infatti, una tale dissennatezza
in Celio; quando mai uno scompiglio tale nei costumi, nell'indole, nella situazione,
nella fortuna sua? E dove mai si sentì il suo nome coinvolto in un
tale sospetto? Ma troppo io mi dilungo su una cosa che non lascia ombra di dubbio.
Tuttavia questo ancora dirò: che non soltanto se egli fosse stato complice in
quella congiura, ma solo che egli non fosse del tutto avverso ad una tale
azione criminosa, non si sarebbe mai sognato di cercare il maggiore prestigio alla propria
giovinezza nell'accusare altri.
[16] E poiché sono in argomento, sono incline a pensare che uguale risposta si
debba dare alle altre accuse, e di appartenenza a gruppi eversivi e detenzione di fondi neri. Mai,
e poi mai, Celio sarebbe stato così folle, se si fosse impegolato in un così
vasto intrigo, da accusare altri dell'intrigo stesso, e da suscitare per altri
il sospetto di ciò ch'egli stesso si proponesse di fare anche in seguito. Se
egli avesse temuto per sé il pericolo di un'accusa di corruzione elettorale
anche per una sola volta, si sarebbe ben guardato dal proporre e riproporre
la stessa accusa contro un altro. Questo egli fece, con poco criterio, è vero, e
contro il mio parere; ma con tale ardore, da rivelarsi piuttosto persecutore
dell'innocenza altrui, che non preoccupato di sé.
[17] Risponderò ora - e vedrete quanto brevemente - all'imputazione di debiti,
all'accusa di sperpero, alla richiesta di esibizione dei suoi registri. Chi
è soggetto a patria potestà non tiene registri. Debiti non ne ha mai fatti.
Di lussuoso gli fu rinfacciata una cosa sola, l'alloggio: avete detto ch'egli
spenda per esso trentamila sesterzi. Questo mi fa pensare che debba essere in
vendita l'intero palazzo di Publio Clodio, nel quale occupa un appartamento
che gli costa, se non m'inganno, diecimila sesterzi. Voi dunque, per far cosa
grata al proprietario, gli avete messa in piedi una menzogna che al momento buono
gli possa servire.
[18] Avete anche rimproverato a Celio di essersi separato dal padre. Ma,
alla sua età, non è, questo, motivo di rimprovero. Quest'uomo, che in un processo
politico conseguì una vittoria, che se fu molesta a me fu per lui gloriosa,
e che ora è in età di poter aspirare alle cariche pubbliche, si separò dal padre,
non solo col consenso, ma per suo consiglio; ed essendo la casa paterna lontana
dal foro, prese in affitto quell'alloggio non certo a caro prezzo, sul Palatino,
per poter agevolmente frequentare la mia casa e tenere i contatti coi suoi amici.
A questo punto io potrei ripetere ciò che poco fa disse il mio illustre collega
Marco Crasso, quando si doleva della venuta a Roma del re Tolomeo: «Oh, non
mai fosse alla selva del Pelio ... !»; ma vorrei mi fosse consentito di completare
il richiamo: «né mai l'errante mia padrona ... » ci procurerebbe questo guaio,
«Medea dall'animo afflitto, di fiero amor piagata». Perché voi vedrete, o giudici,
quando toccherò questo punto della causa, che proprio da quel mutamento di alloggio e da questa Medea Palatina ebbero origine per questo giovane tutti i malanni, o meglio tutte le chiacchiere maligne.
[19] Ormai io non temo più, sicuro della vostra saggezza, o giudici, tutto ciò che dai discorsi degli accusatori ho capito volersi macchinare e inventare contro di noi. Per esempio essi dissero che ci sarebbe un senatore, che verrebbe a deporre,
come teste, per essere stato picchiato da Celio nei comizi pontifici. Ma
io gli chiederò, se verrà, anzitutto perché non abbia immediatamente reagito; in secondo luogo, dal momento che ha preferito lamentarsi anziché reagire, perché abbia scelto di farlo, scovato da voi, anziché di sua iniziativa, e tanto tempo dopo il fatto anziché subito. Che se egli risponderà a queste mie domande in modo intelligente e brillante, allora gli chiederò donde mai, infine, egli spunti fuori: perché, se esso è nato per generazione spontanea, allora sì che io correrò il rischio, come mi accade, di rimanerne turbato; ma se invece egli fosse un rivoletto scaturito e avviato dalla stessa fonte maggiore della vostra accusa, allora mi rallegrerò del fatto che, con tante aderenze e così potenti mezzi di cui essa dispone, ella non sia riuscita a scovare che un solo senatore disposto a rendervi servizio.
[ 20] Né mi fa maggior paura quell'altra categoria di testimoni delle ore notturne, i quali (così si è detto) dovrebbero venire a dirci che le loro mogli, mentre tornavano da cena, sarebbero state molestate da Celio. Gente seria, costoro, se osassero dichiarare sotto giuramento una tal cosa! Essi, che dovranno insieme confessare di non essere insorti contro una così grave offesa, non dico in giudizio, ma neppure in qualche incontro o convegno privato. Ma quale sia
il metodo di attacco degli accusatori, voi, o giudici, già presentite in cuor
vostro; e quando sarà sferrato, dovrete essere pronti a respingerlo. Poiché
le persone che qui accusano Celio, non sono le stesse da cui l'attacco muove:
gli strali son lanciati contro di lui alla luce del sole, ma sono preparati nell'ombra.
[21] Né questo io dico per gettare cattiva luce su coloro per i quali anche l'accusare
torna a onore: essi svolgono un dovere, difendendo i loro amici; fanno
ciò che sogliono fare gli uomini energici: offesi si dolgono, irritati insorgono,
provocati combattono. Ma a voi spetta, o giudici, il vagliare col vostro
senno, non già se vi sia un valido motivo per quegli uomini di accusare Marco
Celio, ma se vi possa esser da parte vostra giusto motivo per ispirarvi piuttosto
al rancore altrui che alla vostra coscienza. Voi vedete quanta folla si
addensi nel foro, e di qual genere, e con quali propositi, e di quale varietà composta:
e in tal moltitudine, quanti mai pensate ve ne siano, pronti, non appena
suppongano che ciò sia desiderato da persone potenti o influenti o faconde, a
offrirsi, a prestare la loro opera, a promettere la propria testimonianza?
[ 22] Se vi fosse chi, di tale risma, si insinui per caso in questo
processo, annullate voi, o giudici, con la vostra sapienza, la loro avidità, perché sia
chiaro che voi siete solleciti, a un tempo, della salvezza di costui, della
vostra coscienza, della indipendenza di tutti i cittadini di fronte al pericoloso
prepotere di taluni. Ma io non vi abbandonerò in balia dei testimoni, né permetterò
che in questo giudizio la verità, che non può essere in alcun modo alterata,
si adegui alle loro opinioni, che troppo facilmente possono essere create ad
arte, e senza sforzo alcuno piegarsi e torcersi a volontà. Procediamo dunque
in base alle prove, e sventeremo l'accusa con elementi più luminosi della luce
del sole: fatti contro fatti, motivi contro motivi, argomenti contro argomenti.
[ 23] Mi è caro che Marco Crasso abbia trattato lui stesso, con efficacia
ed eleganza, quella parte della causa che concerne la rivolta napoletana, la
cacciata da Pozzuoli degli Alessandrini, le sostanze di Palla. Avrei desiderato
ch'egli parlasse pure dell'assassinio di Dione. Su quest'ultimo oggetto,
d'altronde, che cosa vi aspettate? Colui che il delitto commise, e lo confessa, non
ha nulla da temere, poiché è re. Colui che si era detto essergli stato aiuto e complice,
Asicio, fu assolto. Che razza di accusa è dunque codesta, se il reo non nega,
e chi nega è stato prosciolto e dovrebbe invece aver timore costui, che non
solo è estraneo al fatto, ma persino ad ogni sospetto di saperne qualcosa? E
se ad Asicio il processo giovò più di quanto gli abbia nociuto l'odio degli
accusatori, come potrebbe pesare la vostra calunnia su Celio, che riguardo a questa
vicenda non lo sfiora, non solo un sospetto, ma neppure una qualsiasi malevola
voce?
[24] Ma Asicio (si dice) fu assolto per intrigo. Al che sarebbe facilissimo
rispondere, e specialmente a me che sono stato difensore di quella causa. Ma Celio pensa
che la causa di Asicio fosse ottima, e che comunque essa non ha nulla a vedere
con la sua. E non è solo Celio a pensarla così; in verità anche quei due civilissimi
e coltissimi giovani, dediti ai buoni studi e alla migliore educazione, Tito
e Gaio Coponio, che più di chiunque altro si crucciarono per la morte di Dione,
al quale erano legati dal comune amore della cultura e delle umane lettere non
solo, ma pure dal vincolo dell'ospitalità; poiché, come avete sentito, Dione
abitava nella casa di Tito, che lo aveva conosciuto in Alessandria. Quello che
costui e il suo insigne fratello pensino di Marco Celio, lo sentirete da loro
stessi, se saranno introdotti come testimoni.
[25] Lasciamo dunque tutto ciò, e veniamo finalmente alla sostanza del processo.
Ho notato, o giudici, che il mio amico Lucio Erennio si è fatto ascoltare
da voi con particolare attenzione. Per questo motivo, sebbene in gran parte ciò sia
da attribuire al fascino del suo ingegno e all'arte sua nel discutere, io
temevo, peraltro di tanto in tanto, che quella sua requisitoria così sottilmente condotta
si insinuasse pian piano, a grado a grado, nell'animo vostro. Egli, infatti,
molto vi parlò di lascivia, di dissolutezza, di vizi giovanili, di costumi
corrotti; e colui che è in ogni altro rapporto di vita così mite, e a questo clima
di umana cordialità, della quale noi tutti godiamo, suole serenamente
abbandonarsi, fu invece in questa causa il più severo zio, censore, maestro; strapazzò
Marco Celio, come nessun genitore un proprio figlio; e troppo dissertò di incontinenza
e d'intemperanza. Che volete, o giudici? Io mi rendo conto come voi lo abbiate
così attentamente seguito, poiché io stesso raccapricciavo dinanzi ad una così
cupa, così arcigna eloquenza.
[26] Però, la prima parte del suo discorso fu quella che meno mi toccò: che
cioè Celio sia stato amico dell'amico mio Bestia, abbia cenato con lui, ne abbia
frequentato la casa, ne abbia appoggiato la candidatura a pretore. E meno mi
tocca, perché manifestamente falsa. Chi avrebbe, secondo Erennio, cenato insieme
con loro? 0 chi non c'è, o chi è costretto a dire lo stesso di sé. Né mi turba
il sentire che Celio gli sarebbe collega fra i sacerdoti Luperci ... Una ben
selvatica colleganza, codesta dei fratelli Luperci, e nata fra pastori e villani,
in base a un vincolo silvestre certamente istituito prima di ogni vita civile
e legale, se non soltanto i camerati si accusano l'un l'altro, ma anche ricordano,
nell'accusarsi, quel vincolo che li lega, quasi temessero che qualcuno lo ignori!
[27] Ma basta di ciò. E vengo ora a rispondere a quelle altre cose
che maggiormente mi hanno colpito. La paternale sulla vita dedita ai piaceri è stata
lunga, e piuttosto blanda; aveva più della trattazione filosofica che non della
requisitoria; e anche per ciò fu ascoltata con particolare attenzione. Quanto al mio
amico Clodio, mentre egli si agitava con tanta indignata violenza, e trattava
ogni argomento con impeto e con terribile linguaggio e con voce tonante, io,
pure ammirando la sua eloquenza, me ne stavo tranquillissimo: quant'altre volte
lo vidi, in altre cause, disputare così, senza risultato! A te, invece,
Erennio Balbo, rispondo: ma innanzi tutto ti chiedo di perdonarmi se mi permetto
di difendere un uomo, che non disse mai di no a un invito a cena, che usava
perdere le sue giornate nei giardini, che si inondava di profumi, che frequentava
i bagni di Baja.
[28] In verità molti io vidi, e di molti udii, in questa nostra città,
che un simile tenore di vita non solamente gustarono a fior di labbra e toccarono,
come s'usa dire, con la punta delle dita, ma dedicarono ai piaceri
l'intera giovinezza; e che a un certo momento seppero strapparsene fuori, e, come pure
s'usa dire, rimettersi in carreggiata, e si fecero uomini seri ed egregi. Per
unanime giudizio si concede a quell'età qualche svago: ed è la stessa natura
che moltiplica per i giovani le tentazioni. Ma sinché queste si sfoghino senza
che ne vada di mezzo la vita di alcuno, né sia sconvolta la famiglia di alcuno,
si lascia correre e si tollera.
[29] Tuttavia tu, o Erennio, mi pare che volessi addensare su Celio
l'odiosità del comune discredito di cui godono i giovani. Di qui il religioso
silenzio che ha accompagnato la tua orazione, dovuto a ciò, che mentre tu avevi di
mira uno solo, noi pensavamo ai vizi di molti. E' facile dare addosso alla
dissolutezza. Un giorno intero non basterebbe se io tentassi di tirare fuori tutto ciò che
si potrebbe dire su questo tema; il discorso sulla corruzione, sull'adulterio,
sulla sregolatezza, sugli sperperi, non avrebbe mai fine. Se tu ti proponessi
di attaccare, non una determinata persona, ma il vizio in genere, questo darebbe
per se stesso materia ad una abbondante e solenne accusa. Ma è vostro dovere,
o giudici, non lasciarvi distogliere dalla persona dell'imputato, e non consentire
che gli aculei del vostro austero rigore, che l'accusatore ha drizzato contro
il male, i vizi, i costumi, i tempi, si appuntino contro l'uomo, contro l'accusato,
quasi che egli sia iniquamente chiamato a rispondere, non del fatto proprio,
ma dell'odiosità della colpa di molti.
[30] Io non voglio rispondere al tuo rigore così come dovrei, facendo appello
alla giovane età, e chiedere venia per essa. Non voglio farlo, ho detto; non
ricorro alla scusa dell'età; rinuncio a quello che è pure un diritto concesso
a tutti. Questo solo chiedo, che se ai nostri giorni è sorta una generale
avversione (e mi rendo conto quanto sia viva) contro i debiti, l'arroganza,
le dissolutezze della gioventù, non ricadano su di lui i peccati d'altri, le
colpe della sua età e dei nostri tempi. Ma io stesso, che questo invoco da voi,
non mi sottraggo affatto a confutare con ogni diligenza le accuse che contro di
lui, personalmente, convergono. Due sono dunque i capi d'accusa: l'oro e il veleno.
Per l'uno e per l'altro è in gioco la stessa persona: l'oro si dice preso a
prestito da Clodia, il veleno procurato per essere propinato a Clodia. Tutto
il resto non sono imputazioni, ma pettegolezzi; materia di aspro diverbio,
piuttosto che argomento di processo. «Adultero, spudorato, trafficante!... »:`
ma questa è ingiuria, non accusa. Non c'è, in quei capi d'imputazione, né fondamento,
né sostegno: sono voci calunniose, temerariamente lanciate da un accusatore
furioso e irresponsabile.
[31] Per quei due titoli d'imputazione, invece, io vedo un autore, vedo l'origine,
vedo ben definito un nome e una persona. Egli aveva bisogno dell'oro: se lo
fece prestare da Clodia, prestare senza testimoni, e se lo tenne quanto tempo
volle: prova evidente di una strettissima intimità. Ma poi, la volle uccidere;
si procurò il veleno, cercò di accattivarsi quanti poté, lo preparò, fissò il
luogo, ve lo portò: prova evidente di un grande odio nato da un crudele contrasto.
Tutta la causa, o giudici, è con Clodia, donna non soltanto ragguardevole, ma assai
nota. Di lei nulla dirò più di quanto sia necessario per controbattere l'accusa.
[32] Ma nel tuo grande acume tu comprendi perfettamente, o Gneo Domizio, che la
causa è tutta e soltanto con lei. Se essa non dirà di aver prestato l'oro a
Marco Celio, se essa non lo accuserà di aver preparato per lei il veleno, noi
saremmo veramente indiscreti se parlassimo di una madre di famiglia diversamente da
quel che convenga alla onorabilità delle matrone. Ma se, per contro, liquidata costei,
nulla rimanesse in piedi né dell'accusa, né dei mezzi a cui si appoggia, che
altro dovremmo fare noi, avvocati di Celio, se non respingere chi ci aggredisce? Ed
io lo farei anche con maggior forza, se non mi trattenesse la mia inimicizia col
marito... volevo dire col fratello: sempre lo stesso errore! Parlerò dunque con
moderazione, e non andrò oltre quel che mi impongono il mio dovere e le necessità
della causa. Non è mai stato nei miei desideri di crearmi inimicizie femminili;
specialmente con colei che tutti hanno sempre considerato piuttosto l'amica
di tutti, che la nemica di qualcuno.
[33] Io dunque chiederò anzitutto a lei stessa, se preferisce che io la tratti
con la severità, la gravità, la durezza antica, o invece scherzosamente con
dolcezza e urbanità. Se in quel primo burbero modo, io dovrò richiamare dal
mondo di là qualche veneranda barba - non quelle barbette profumate di cui essa suole
compiacersi, ma di quelle barbacce incolte che noi vediamo nelle statue e
nei busti antichi, - che la strapazzi, e parli in vece mia affinché essa non se
la prenda con me. Venga dunque qualcuno della sua stessa famiglia: per esempio, e
primo fra tutti, quell'Appio Claudio Cieco, che del non poterla vedere non proverà
alcun dolore.
[34] S'egli dunque risusciterà, si comporterà e parlerà così: «O donna, che hai
tu in comune con Celio, con questo giovanotto, con questo estraneo? Come mai
tu gli sei stata, o così intima da prestargli i tuoi ori, o così nemica da
temerne il veleno? Non hai visto tuo padre, non hai sentito dire che tuo zio,
tuo nonno, tuo bisnonno, l'avo tuo, il padre di lui, sono stati consoli? Non
sapevi almeno di essere stata moglie di Quinto Metello uomo eccellente e intrepido
e molto amante della patria, che, non appena fuori di casa sua, era
ritenuto superiore ad ogni altro cittadino per virtù, fama e decoro? Tu, di così
nobile famiglia, e in così nobile famiglia entrata col matrimonio, come hai
potuto confonderti con un Celio? Era tuo parente, tuo affine, era amico di tuo
marito? Nulla di tutto ciò. Che altro ti spinse, allora, se non una sfacciata
libidine? Sebbene non ti trattenessero le immagini degli uomini della nostra famiglia, come
non ti suggerì quella di una mia discendente, Quinta Claudia, di farti emula
di domestica lode nell'onore femminile; o quella della vergine Claudia, la
Vestale, che stringendo fra le braccia il padre impedì ad un tribuno della plebe,
suo nemico, di trarlo giù dal carro trionfale? Perché poterono su di te
più i vizi fraterni che le virtù paterne e avite, che si rinnovano, a
partire da me, di generazione in generazione, fra uomini e donne? E' per questo,
dunque, che io ho impedito la pace con Pirro, perché tu potessi ogni giorno
mercanteggiare amori indecenti? Per questo ho condotto l'acqua a Roma, perché tu la usassi per
le tue sconcezze? Per questo ho aperto la via Appia, perché tu vi passeggiassi
in compagnia d'ogni sorta di gente?».
[35] Ma perché, o giudici, ho io chiamato alla ribalta un personaggio di
tanta austerità, da farmi quasi temere di vederlo improvvisamente rivolgersi a
noi, e farsi lui stesso nella sua gravità censoria, accusatore di Celio?...
Ma questo lo vedremo più tardi: e avverrà, ne sono certo, che la vita di Celio
ne uscirà integra anche al giudizio dei più severi esaminatori. Ma tu, o donna
- ecco, ora ti parlo senza nessun intermediario, - se ti proponi di giustificare
ciò che stai facendo, e dicendo, e inventando, e macchinando, e imputando, tu
dovrai per prima cosa dar ragione e rendere conto di quella tua eccezionale familiarità
e intrinsechezza e intimità con Celio. Gli accusatori hanno costantemente sulla
bocca i piaceri, gli amori, gli adulteri, e Baja e le spiagge, e i conviti,
le gozzoviglie, i canti, i concerti, le gite in barca (e non pare che dicano
nulla che sia contro la tua volontà). Ma poiché tu hai voluto, per non so quale
improvvisa follia, rovesciare tutta questa roba nel foro e in giudizio, di
qui non sfuggi: o la sconfessi e smentisci; o dovrai riconoscerti indegna d'esser
creduta, come accusatrice e come testimone.
[36] Se tu, poi, preferisci che io ti tratti con maggior riguardo,
lo farò. Allontanerò quel vecchio arcigno e quasi selvatico. Prenderò invece
.... sì, qualcuno tra questi e precisamente il tuo fratello minore, che in questa
materia è così pieno di garbo, che ti ama più di ogni altro, e che, non so per quale
(credo io) timidezza di vani terrori notturni, ha sempre usato dormire con te,
come un fanciullo con la sorella maggiore. Immagina che egli ora parli con te:
«Perché mai, o sorella, smanii in questo modo? Che pazzia è la tua? "Perché con
tanto chiasso di parole, una piccola cosa ingigantisci?" Tu hai adocchiato un
giovinetto, tuo vicino di casa; il suo candore, la figura slanciata, il volto,
gli occhi ti hanno colpita; l'hai voluto vedere più di frequente, ti sei talvolta
trovata con lui nello stesso giardino; donna dell'alta società, ti sei proposta
di avvincere a te, con le tue larghezze, questo figlio di famiglia dal padre
avaro e spilorcio. Non ci riesci: egli recalcitra, non ne vuol sapere di te,
ti rifiuta, non giudica che i tuoi doni valgano tanto. E cercatene un altro!
Hai un giardino sul Tevere, e te lo sei adattato apposta in quel luogo perché
tutta la gioventù di Roma ci venga col pretesto del nuoto. Eccoti dove tu puoi
ogni giorno scegliere secondo il tuo gusto. Perché tormentare proprio costui
che t'ha a noia?»
[37] Ed ora è la tua volta, Celio, e torno a te, assumendomi autorità
e severità di padre. Ma quale padre? Quello di tipo Ceciliano violento e duro,
che esclama: «Ora ho l'animo in fiamme, ora il mio cuore è gonfio d'ira»?
O quell'altro: «O sciagurato! O scellerato !» Sono di ferro, codesti padri. «Ed io
che mai dirò? Cosa vorrò? Le gravi azioni tue m'hanno sconvolto, al punto che io
non so più quel che vorrei ... »?; appena si possono tollerare. Un tale padre ti
direbbe: «Perché ti sei tu creata questa vicinanza con una prostituta? Perché,
scoperte le sue lusinghe, non sei scappato? Perché questa relazione con una
donna non tua? Spendi e spandi: per me, padronissimo. Ma quando sarai all'osso,
prenditela con te stesso. A me basta vivere tranquillo quel tanto di tempo che
mi avanza».
[38] A questo vecchio amaro e rigido, Celio potrebbe rispondere di non
avere mai sviato per nessuna passione. La prova? Eccola: nessun lusso, nessun
dissesto, nessun debito. Eppure se n'è parlato. Ma chi può evitare le chiacchiere in
una città maldicente come Roma? Può forse sorprendere che fioriscano delle
malignità sul vicino di casa di quella donna, quando neppure il suo fratello germano
ha potuto sfuggire alle male lingue? Con un padre, invece, più sereno e
indulgente, con uno di quelli che dicono: «Ha sfondato le porte? Si aggiusteranno. Ha
lacerato la veste? Si riparerà», la causa del figlio è bell'e vinta. Che cosa
rimarrebbe, infatti, di cui non gli sia facile scolparsi? Io non parlo ora più di
quella donna: ma se un'altra ce ne fosse - diversa da questa - che si conceda a
tutti; che faccia bella mostra dell'amante scelto di volta in volta; nel
giardino, nella casa, nel bagno della quale abbiano libero ingresso le concupiscenze
di tutti; che mantenga qualche giovanotto e compensi le taccagnerie paterne
con la prodigalità; se costei, vedova, vivesse in piena libertà; sfrontata,
senza sfreni; ricca, con ogni sperpero; libidinosa, a modo di meretrice: dovrei
io giudicare adultero colui che trattasse questa donna con una certa confidenza di
troppo?
[39] Ma qui ci sarà chi mi dice: «Questa è dunque la tua scuola? Così
tu educhi la gioventù? Per questo il padre ti ha rimesso e affidato il suo
ragazzo, perché dissipi la sua giovinezza negli amori e nei piaceri, e tu ti affanni a
difendere una tale vita e queste inclinazioni?» Ecco: se c'è qualcuno che abbia
tanta forza d'animo, che sia di un'indole così virtuosa e temperante, da
disprezzare ogni voluttà e da logorare tutto il corso della propria vita nella fatica
fisica e nell'applicazione intellettuale: qualcuno a cui non sorridano il riposo,
lo svago, gli interessi dei coetanei, i giochi, i conviti, e che stimi
desiderabile nella vita solo ciò che s'accompagni alla lode e al decoro: io lo
giudicherò come formato e ornato di qualità divine. Io credo che fossero di una siffatta
tempra i Camilli, i Fabrizi, i Curi, tutti coloro insomma che fecero questa
nostra Roma, da così piccola, così grande.
[40] Ma oggi quelle virtù, non solo non si trovano più nei nostri costumi, ma appena
appena nei libri; perfino le carte che davano testimonianza di quelle antiche virtù
sono ingiallite. E questo non solo da noi, che quella condotta e quel
regime di vita attuammo più coi fatti che a parole, ma perfino presso i Greci,
dottissimi uomini, che quando pure non operavano così, amavano parlarne e scriverne
con molta eleganza e solennità, e per i quali allo stesso modo, mutate le condizioni
dei tempi, mutò anche la coscienza morale.
[41] Vi fu così chi insegnò che i saggi perseguono, in tutto
ciò che fanno, il piacere; e all'orrore di una tale dottrina non si
sottrassero neppure uomini di larga cultura. Altri sostennero che il piacere e il
merito possono conciliarsi tra di loro, confondendo, nel loro virtuosismo verbale, cose fra sé
ripugnanti. Altri, infine, che indicarono la sola via che conduce alla gloria
attraverso il sacrificio, rimasero quasi soli nelle loro scuole. Troppe attrattive la
natura stessa ci elargì, alle quali facilmente la virtù si abbandona
addormentata; troppe vie sdrucciolevoli essa apre alla giovinezza, dove questa può a
mala pena entrare o sostare senza scivolare o cadere; troppa varietà di cose
allettanti essa ci ha apprestato, nella cui rete non soltanto quella giovane età, ma anche
la più scaltrita, s'impigli.
[42] Ecco perché, se ci accade d'imbatterci in qualcuno che rifiuti ai propri occhi
di contemplare la bellezza delle cose, che non sia sedotto da alcun profumo, da
alcun contatto, da alcun sapore; che allontani dall'orecchio ogni dolcezza di
suoni; potremo forse, io e pochi altri, giudicare che a quest'uomo gli dèi siano
stati propizi, ma i più li diranno irati con lui. Lasciamo dunque questa via
arida e incolta e ostacolata da rami e virgulti. Si conceda qualcosa all'età! Sia
la giovinezza più libera; non si dica sempre di no ai piaceri, e non sempre la
vinca la fredda e severa ragione, ma di quando in quando la soverchino i desideri
e i diletti, purché si osservi anche in questi la giusta misura. Abbiano cura
i giovani della propria moralità, e non turbino l'altrui; non dilapidino il
patrimonio, né si lascino strozzare dagli usurai; non attentino alle famiglie e
al buon nome degli altri; non infliggano il disonore ai casti, la rovina agli integri,
l'ignominia ai buoni; non minaccino con la violenza, né tendano insidie, e
si astengano da ogni azione delittuosa; e finalmente, quando si siano abbandonati ai
piaceri, quando abbiano dato un poco del loro tempo agli svaghi e ai vani folleggiamenti
dell'età loro, sappiano per tempo ritornare alle faccende domestiche, agli affari
forensi, alle pubbliche cure, cosicché dimostrino di avere rinunciato per sazietà
e disprezzato per esperienza quelle vanità che, in un primo tempo, la loro mente
non aveva valutato a dovere.
[43] Quanti furono, o giudici, a memoria nostra e dei nostri padri
e avi, uomini eminenti e cittadini esemplari, nei quali, placati i
bollori giovanili, in età più matura rifulsero le più alte virtù! Non intendo far nomi
(del resto li ricordate voi stessi), perché non voglio, per nessuna di
quelle personalità autorevoli ed egregie, unire alla lode il richiamo al più tenue
fallo. Che se lo volessi, potrei esaltare molti uomini eccellenti, dei quali si
potrebbe ricordare, per taluni di essi la eccessiva libertà di costumi nella prima
gioventù, per altri una smodata dissipazione, o la mole dei debiti, gli sperperi, le
dissolutezze: tutto ciò, messo poi in ombra dalle loro grandi virtù, potrebbe essere difeso con
la ragione dell'età da chiunque lo volesse.
[44] Ma in Marco Celio - e posso ormai parlare abbastanza liberamente delle sue migliori qualità, poiché, sicuro
della vostra saggezza, non ho ritegno a fare anche qualche confessione - non
c'è nessuna dissolutezza, nessuno sperpero, nessun debito, nessuna smania di
orge o di postriboli. Del resto, i vizi del ventre e della gola non diminuiscono
col crescere degli anni, ma crescono; gli amori, e quelle altre che sogliono
chiamarsi galanterie, le quali finiscono col riuscire stucchevoli agli uomini
seri, e tanto presto, a un certo momento, si spogliano d'ogni attrattiva, in quanto
non lo hanno mai tenuto sotto il loro giogo.
[45] Voi lo avete udito quando parlava per sé; lo avete udito, tempo fa, quando
parlò come accusatore di altri (questo dico per difesa di lui, non per vanto
mio); e avete potuto constatare nel vostro saggio giudizio la qualità della
sua eloquenza, la sua abilità, la ricchezza dei concetti e delle espressioni.
E in lui avete visto, non soltanto brillare l'intelligenza, che spesso s'impone
con le proprie forze anche se non l'alimenta l'arte, ma anche quanto ci sia
in lui, se l'affetto non mi fa velo, di virtù d'argomentazione, consolidata
nei buoni studi e affinata nelle laboriose vigilie. Ora sappiate, o giudici,
che quelle passioni che si imputano a Celio, e quelle sue qualità delle quali
sto ora parlando, difficilmente possono coesistere nella stessa persona. Non
può avvenire che un animo schiavo delle voluttà amorose, infingardo, premuto
dai desideri, traviato dall'eccessiva ricchezza o impedito dalle ristrettezze,
sostenga questa nostra - quale che sia e comunque la si affronti - fatica di
oratore, non solo nel discutere la causa, ma anche nel meditarla.
[46] E credete voi forse che vi sia altra ragione di questo fatto, che
con tanti premi concessi all'eloquenza, con tanta gioia nel parlare, con tanta
lode e tanto credito e tanta autorità, siano così pochi, e sempre lo siano stati,
coloro che ad essa si dedicano? Bisogna, per essa, gettare in un canto i godimenti;
trascurare ogni richiamo di svaghi, di giochi, di scherzi, di conviti; rinunciare
quasi alla conversazione fra amici. E' il sacrificio necessario in questa attività
che spaventa gli uomini, e li tiene lontani dall'applicazione; non già che manchino
tra noi gli uomini d'ingegno o manchi la loro preparazione culturale sin da
giovani.
[47] Ora, se Celio si fosse dato a un tal genere di vita, forse che
avrebbe avuto l'ardire di chiamare in giudizio, egli giovane ancora, un uomo
ch'era stato console? S'egli rifuggisse dalla fatica, se fosse tenuto in balia
dei piaceri, forse che scenderebbe ogni giorno in questa nostra arena, si
creerebbe inimicizie, si farebbe accusatore, si giocherebbe la testa,
combatterebbe così da tanti mesi, sotto gli occhi del popolo romano, per la vita e la
gloria? Ma, si chiederà, non puzza proprio per nulla quella sua vicinanza a
Clodia? Non dicono proprio nulla la voce pubblica, nulla i bagni di Baja? Sì: e
non solo dicono, ma conclamano che la libidinosa sfrenatezza di questa donna
è dilagata sino al punto di farla, non ansiosa di solitudine e di tenebre e degli altri
soliti occultamenti delle proprie turpitudini, ma persino compiaciuta dell'affollarsi
della gente e della piena luce intorno alle sue sconce manovre.
[48] Se c'è qualcuno che consideri proibito ai giovani perfino l'amoreggiare
con una prostituta, egli sarebbe, non posso negarlo, eccessivamente austero;
ma si metterebbe in urto, non solo con la licenza dei tempi nostri, ma con quanto
usavano e tolleravano anche i nostri avi. Quando mai, infatti, non fu ciò praticato,
quando censurato, quando non permesso, quando insomma avvenne che ciò che è
lecito, lecito non fosse? Ormai, passo a definire i termini della questione,
ma non farò il nome di nessuna donna: lasciamo pure la cosa in sospeso.
[49] Ma se una donna, che non abbia marito, apra la casa propria alle
brame di tutti, si metta a fare apertamente una vita da meretrice, usi
banchettare con uomini a lei affatto estranei; se questo essa faccia in città, in
villa, in mezzo alla folla di Baja; se si comporti, non solo nel modo di
camminare ma anche nel modo di acconciarsi e nella compagnia, non solo nello
scintillio degli occhi e nella libertà del linguaggio ma anche coi baci e gli
abbracci sulle spiagge e a bordo e a cena, in modo tale da manifestarsi non
semplice prostituta, ma prostituta sfrontata e procace: dimmi tu, Erennio, un giovanotto
che per caso le si accompagnasse lo chiameresti tu adultero, o amante; diresti
tu ch'egli voglia attentare al pudore di lei, o soddisfarne la libidine?
[50] Io voglio dimenticare, o Clodia, le tue ingiurie, e
cancellare il ricordo delle mie sofferenze; voglio passar sopra a tutto quanto, durante mia
assenza [da Roma], tu hai crudelmente operato in danno dei miei... Non siano mai
dette contro di te le cose che io ho dette or ora! Questo ti chiedo,
poiché gli accusatori affermano di tenere da te stessa e l'accusa e la testimonianza:
se esistesse una donna, diversissima da te, quale io poc'anzi ho descritta, una meretrice per
vita e costumi, e con essa un giovane avesse avuto una relazione, ti
parrebbe un caso straordinariamente vergognoso e scellerato? Ebbene: se tu non sei quella donna (come
io voglio pensare), di che accusano dunque Celio? Se vogliono che tu lo sia,
perché dovremmo noi temere di un'accusa, che tu per prima condanni? Dacci dunque
tu stessa la via e il modo della difesa: poiché, o nel tuo pudore tu escluderai
che Marco Celio si sia comportato con te in modo sconveniente, oppure la tua
spudoratezza darà a lui e a tutti gli altri l'arma migliore per difendersi.
[51] Ma la mia difesa mi pare si sia ormai disincagliata dalle secche e abbia superato
gli scogli, cosicché il residuo suo corso mi si presenta agevole. Due sono,
infatti, le accuse mosse a Celio per due gravissimi misfatti contro la medesima
donna; l'una, di aver preso a prestito l'oro da Clodia; l'altra, di aver
preparato il veleno per uccider Clodia. L'oro lo avrebbe preso, secondo ciò
che voi dite, per darlo ai servi di Lucio Lucceio, e con il loro aiuto far ammazzare
Dione Alessandrino, ospite di Lucceio appunto. Delitto enorme, sia per avere
insidiato la vita di un ambasciatore, sia per avere spinto degli schiavi a uccidere
l'ospite del loro padrone: un proposito nero d'infamia e di temerarietà.
[52] Ma in merito a questa accusa, io mi domando anzitutto se Celio abbia rivelato a Clodia lo scopo per il quale egli le chiedeva quell'oro, o no. Se non
glielo ha detto, perché mai essa glielo ha dato? Se glielo ha detto, essa gli si
è fatta complice. E veramente tu, o Clodia, hai osato tirar fuori dal tuo
armadio quegli oggetti d'oro, spogliare dei suoi ornamenti la tua Venere, quella
Venere che è solita spogliare gli altri sapendo che quell'oro era necessario per compiere
un delitto, per assassinare un ambasciatore, per eterna vergogna di quel pio e
integerrimo uomo che è Lucio Lucceio? No, non poté l'animo tuo generoso essere cosciente
di una tale scelleratezza ; non poté la tua casa, liberalmente aperta
a tutti, esserne strumento, la tua Venere ospitale diventarne complice.
[53] Balbo lo capì perfettamente; infatti dichiarò allora che Clodia ignorava lo scopo vero per il quale l'oro le
era stato chiesto, e che Celio aveva addotto il pretesto di doversene servire per
allestire dei giochi pubblici. Ma se egli le era così intimo quale tu vuoi che fosse, e poiché tu parli tanto delle sue smanie lascive per lei, vuoi che non le abbia detto perché voleva quell'oro? Se questa intimità, poi, non esisteva,
allora essa non aveva motivo di darglielo. In altre parole, se Celio ti ha detto
il vero, tu stessa, o pazza, hai dato coscientemente l'oro per il delitto; se
non osò dirtelo, tu non glielo hai dato. Perché mai dunque dovrei
confutare una simile accusa con argomenti di difesa, che peraltro sono innumerevoli? Potrei
dire, anzitutto, che i costumi di Marco Celio sono ciò che c'è di più
ripugnante all'atrocità di un tale delitto: a un uomo intelligente e accorto come egli è,
non è neppure pensabile che non venisse subito in mente che un'azione
delittuosa come quella, non si affida a schiavi sconosciuti ed estranei.
Potrei anche, secondo l'uso d'altri avvocati, e mio, domandare all'accusatore che mi dica
dove Celio si sia incontrato coi servi di Lucceio, e chi lo abbia messo in contatto
con loro. Se da sé solo, quale imprudenza la sua! se per mezzo d'altri, chi
sarebbe costui? Io posso bene, con la mia parola, scrutare tutti gli angoli bui dei sospetti;
ma non trovo una ragione, un luogo, una possibilità, un complice, una speranza di attuare
e occultare la scellerata azione, non un modo di compierla, non una traccia
dell'orrendo misfatto.
[54] Ma tutto ciò, che pur sorge spontaneo nella mente del difensore, e che,
dando l'impressione di scaturire da una mia accurata elaborazione, potrebbe,
non per l'ingegno mio, ma per la mia vecchia esperienza forense, dare qualche
frutto, io lo tralascio per amor di brevità. Io ho invece una persona,
giudici, che volentieri voi vedreste unita a voi nel vincolo della coscienza e
del giuramento: quell'uomo piissimo e quel testimone scrupoloso è Lucio Lucceio stesso,
il quale non avrebbe potuto ignorare un tale attentato alla sua fama e alla
sua fortuna da parte di Celio, né, sapendolo, lo avrebbe trascurato o tollerato. Forse
che un tal uomo, pieno di umanità, di cultura, di dottrina, di scienza, avrebbe
potuto disinteressarsi del pericolo incombente proprio su colui che egli
prediligeva per affinità di pensiero e di studi e, pur trattandosi dell'ospite proprio,
trascurare un delitto contro il quale sarebbe virilmente insorto anche se
macchinato contro un estraneo qualsiasi ? Passare sopra a ciò che, se compiuto
da ignoti, lo avrebbe riempito di dolore, qualora ne fossero stati autori i
suoi stessi servi? Sopportarlo in Roma e in casa propria, dal momemto che, pur se
quel delitto fosse avvenuto in campagna o in un luogo pubblico, egli lo avrebbe
fieramente stigmatizzato? Stimare, lui uomo sapientissimo, meritevole di essere all'oscuro di quel
delitto che insidiava un uomo ugualmente sapientissimo, quando invece non lo avrebbe
mai lasciato impunito se pur diretto contro un villano qualsiasi?
[55] Ma perché, o giudici,
dilungarmi? Tenete presente la coscienza e l'autorità di un tale testimone
giurato; consideratene attentamente la deposizione, parola per parola. Ecco che
cosa egli vi dice: (Segue la deposizione di
Lucceio). Che volete di più? Forse che la verità della causa può prendere la parola
da sola in propria difesa? Questa è la difesa dell'innocente, questo è il linguaggio della causa, questa la voce univoca della verità. L'accusa non può invocare per se un solo sospetto, non un argomento di fatto; della trama che si vorrebbe ordita, non una traccia di parole, di luogo, di tempo; non un teste, non
un complice di cui si faccia il nome; tutta l'accusa ha una sola origine, in una casa nemica, scellerata, crudele, malvagia e corrotta. La casa, al contrario, che
si pretenderebbe macchiata da questo orrendo delitto, è piena di onestà, di decoro, di senso del dovere, di pietà: ed è da essa che vi parla l'autorità
del prestato giuramento, fugando ogni più lieve ombra di dubbio sul dilemma,
se non abbia una donna temeraria sfrenata e iraconda inventato l'accusa, o un
uomo serio, saggio, riflessivo deposto scrupolosamente.
[56] Resta l'accusa di veneficio della quale io non riesco a trovare il bandolo. Quale
ne sarebbe la causa, per qual motivo Celio avrebbe voluto avvelenare questa donna?
Per non restituirle l'oro? Ma glielo aveva forse richiesto? Per non essere implicato
nell'altro delitto? Ma chi glielo aveva rinfacciato? E chi ne avrebbe mai
parlato, se non si fosse fatto lui stesso accusatore in giudizio? Avete udito
Lucio Erennio dichiarare che mai la sua voce si sarebbe levata accusatrice
di Celio, se questi per la seconda volta non avesse denunciato, per la stessa
imputazione, l'amico suo, già prosciolto. E' concepibile che quel delitto sia
stato ordito senza una causa determinante? E non vi rendete conto che l'accusa
di questo maggior crimine fu fabbricata soltanto per fornire un pretesto a quell'altra?
[57] Ma a chi, dunque, Celio ne affidò l'esecuzione? Di quale complice,
di qual compagno, di quale confidente si giovò, nelle cui mani egli avrebbe affidato
un tale delitto, se stesso e la propria vita? Degli schiavi della donna (poiché
questo fu risposto)? Ma era costui, del quale voi certamente riconoscete l'intelligenza
anche se l'eloquenza avversaria gli nega ogni altra qualità, pazzo a tal segno
da affidare a schiavi d'altri la propria vita? E a qual genere di schiavi (anche
questo ha il suo grande peso)? A quelli appunto che egli sapeva non essere schiavi
come gli altri, ma vivere in ben più libera e cordiale e sbrigliata familiarità
con la propria padrona. Chi non lo vede, o giudici, chi ignora che in una casa
come quella, dove la padrona conduca una vita di meretrice, dove nulla si faccia
che possa esser raccontato fuori, dove impazzano le orge, la libidine, la
lussuria, tutti i vizi insomma e le corruzioni più inaudite, gli schiavi non
son più schiavi, essi a cui ogni incarico è affidato, per mezzo dei quali ogni
cosa si fa, che partecipano agli stessi piaceri, ai quali si confida ogni segreto,
a vantaggio dei quali rifluisce non poco degli sperperi e degli sciali d'ogni
giorno? E tutto questo, proprio Celio non lo avrebbe veduto?
[58] Se c'era fra lui e la padrona la intimità che voi dite, doveva ben
sapere che anche i servi le erano intimamente legati. Se quella grande
dimestichezza non c'era, come mai avrebbe potuto essercene tanta fra lui e quei servi?
Ma questa fiaba del veleno, in che modo viene architettata? Dove lo si è
cercato, in quale maniera fu preparato, come, a chi, dove consegnato? S'è detto che
Celio lo avesse in casa, e lo abbia sperimentato sopra uno schiavo comperato a
tal fine, la cui morte immediata sarebbe servita da collaudo.
[59] Dèi immortali! Ah, perché talvolta voi tollerate le peggiori scelleratezze umane, o
rinviate il castigo delle colpe attuali? Io vidi, io vidi, e ne ebbi uno dei
più aspri dolori della mia vita, Quinto Metello allorché fu strappato dal grembo
della patria, mentre si credeva nato a servirla; e due giorni dopo aver dato
di sé le più splendide prove nella Curia, ai rostri, nella vita pubblica, venne, nel
fiore dell'età, della salute, delle energie, indegnissimamente rapito a tutti
i buoni e all'intera cittadinanza. Morente, in quell'ora in cui la mente ormai fiaccata
si strania da ogni pensiero, egli teneva vigili i suoi ultimi sensi nel pensiero della
repubblica: e fissandomi mentre io piangevo, mi preannunziava, con voce rotta e
che gli veniva meno, quale tempesta si addensasse sul mio capo, quale bufera sulla
città; e picchiando più e più volte sulla parete che lo separava dall'alloggio di
Quinto Catulo, ripetutamente egli chiamava per nome Quinto Catulo ,
e più spesso me, e ancor più di frequente invocava la repubblica, come se lo
angosciasse non tanto il morire quanto l'abbandonare privi della sua difesa
la patria e me.
[60] Che se la improvvisa violenza del delitto non ci avesse strappato
un tale uomo, quale argine alle furie del demente cugino non avrebbe egli
opposto, egli che era stato console, e che da console gli aveva in pieno Senato,
di fronte ai primi segni dei suoi folli attentati dichiarato che lo avrebbe
ucciso con le sue stesse mani? Ed è una donna uscita da questa casa, che osa
parlare della prontezza del veleno? Ma non temerà essa che la sua stessa casa
possa far sentire la sua voce; non rabbrividirà essa di fronte alle pareti che sanno,
al ricordo di quella notte d'orrore e di lutto? Ma torniamo all'accusa: l'immagine
di quell'uomo egregio e integro che ho rievocata ha fiaccato la mia voce nel
pianto, ha paralizzato nel dolore il mio pensiero.
[61] Non ci è stato detto, dunque, donde sia venuto il veleno, né in che modo
sia stato approntato. Dicono bensì gli accusatori che esso sarebbe stato dato
a Publio Licinio, un giovane ammodo e buon amico di Celio; che sarebbe stato
inteso con gli schiavi ch'essi venissero al bagno pubblico di Senia; che, infine,
si sarebbe ivi recato anche Licinio, per consegnare loro il vasetto del veleno.
Ma qui io chiedo, anzitutto, a quale scopo si sarebbe combinato di portarlo
là, e perché gli schiavi non siano andati a prenderlo in casa di Celio. Se perdurava
quella stretta intimità, quella consuetudine di rapporti con Clodia, che sospetto
poteva destare il vedere un suo schiavo a casa di lui? Se invece era già subentrata
l'inimicizia, se la relazione era rotta, se il conflitto s'era aperto... Oh!
Ecco allora «la fonte di tutti i pianti» ecco l'origine di tutta questa storia
di delitti e di accuse!
[62] Ma l'accusa ribatte: «Per l'appunto: quando gli schiavi svelarono
alla padrona tutto il malefico intrigo di Celio, essa, furba, diede loro
l'ordine di promettergli tutto quanto egli volesse; ma perché Licinio fosse colto
in flagrante nell'atto di consegnare il veleno, scelse come luogo i bagni di
Senia, per mandarvi degli amici che vi si nascondessero, e nel momento in cui
arrivava Licinio e rimetteva agli schiavi il vasetto, saltassero improvvisamente
fuori, e lo prendessero». Ma tutto questo, o giudici, è così facile a confutare!
Anzitutto, perché egli avrebbe scelto proprio un bagno? Io non vedo dove, in esso, ci
sia un nascondiglio per uomini togati: perché, o stavano nell'atrio, e non
sarebbero stati nascosti; o si volevano raccogliere nell'interno, e non era agevole
il farlo, calzati e vestiti: se pure li avessero fatti entrare, ciò di cui dubito;
a meno che quella donna potente non si fosse fatta amica del padrone del locale
alla consueta tariffa di un quadrante.
[63] Ma, dico il vero, io ero ansioso di sapere chi
fossero codesti galantuomini, di cui si è preannunziata la testimonianza su quella consegna
in pubblico del veleno: ma nessun nome è sinora venuto fuori. Non ho dubbio, però,
che si tratti di persone estremamente autorevoli: in primo luogo, perché amici
di una tale femmina; poi, per essersi assunta la funzione di introdirsi in
massa dentro un bagno pubblico; ciò che, potente come essa era, non avrebbe
certo potuto ottenere che da uomini pieni di dignità e di decoro... Ma perché mi sto io
occupando della dignità e del decoro di questi testimoni? Voi ne conoscete già il
coraggio e lo zelo. «Si celarono nei bagni»: o eminenti testimoni! «Poi saltarono
fuori prima del tempo»: o uomini tempestivi! Ed è su questi elementi che voi
intendete costruire la storiella... Ecco: Licinio compare, tiene in mano il vasetto del
veleno, tenta di consegnarlo, ancora non lo ha potuto consegnare, quando questi
illustri ma innominati testimoni sbucano fuori all'improvviso; cosicché Licinio, che già aveva
steso la mano a consegnare il veleno, la ritrae, e di fronte all'improvvisa aggressione si dà
alla fuga! Oh, virtù suprema della verità, che si sa bene quanto importi
e da sola di fronte alla ingegnosità, alle sottigliezze, alla scaltrezza degli
uomini, alle insidie e alle menzogne di chicchessia!
[64] Come tutta questa commediola di una vecchia fabbricante di favole è
inverosimile e sconclusionata! E quindi? Tanti uomini - poiché è necessario che fossero non
pochi, sia per poter facilmente afferrare Licinio, sia perché il fatto avesse come testimoni
molti occhi -, per lasciarselo sgusciare di mano? Come mai era più difficile
prenderlo quando egli ritrasse la mano per non consegnare il vasetto del
veleno, di quello che non fosse s'egli lo avesse consegnato? Si erano pure piazzati
in modo da coglierlo sul fatto, sia nell'atto di trattenere, sia in quello di
consegnare il veleno: questo il piano di Clodia, questa la loro missione: sicché
non capisco come tu possa dire che sono saltati fuori alla cieca e fuori di tempo.
Per questo erano stati assoldati, per questo appostati: affinché il veleno,
l'insidia, il delitto stesso fossero smascherati in pubblico.
[65] E avrebbero potuto intervenire in un momento migliore di quello in cui arrivava Licinio, tenendo in mano il vaso del veleno? Se questo fosse già
stato consegnato agli schiavi, e solo allora gli amici di lei fossero sbucati fuori e avessero preso Licinio, questi avrebbe avuto modo di negare, invocando
delle testimonianze, d'essere stato lui a consegnarlo. Come smentirlo? Dicendo
di averlo visto? Ma intanto il primo sospetto sarebbe caduto su di loro; e
poi avrebbero detto di aver veduto ciò che dal luogo dov'erano appostati, vedere
non potevano. Essi dunque comparvero nel momento stesso in cui Licinio giungeva,
traeva fuori il vaso, stendeva la mano, porgeva il veleno... Ma questo è il
finale di una farsa, non di una commedia: quando, non trovandosi una conclusione, il personaggio si squaglia, gli strumenti suonano la fine, e il velario si
chiude!
[66] Qui domando, infatti, come mai questo manipolo di sicari di una femmina si
sia lasciato sfuggire di mano Licinio, sorpreso, incerto, sul punto di trarsi indietro e
di tentar la fuga; come mai essi non siano riusciti ad acciuffarlo; come mai, infine,
non abbiano raccolto la prova dell'accusa di un così grave delitto dalla sua
stessa confessione, dalla testimonianza oculare di tanti, dalla pubblica voce
dell'attentato. Temevano essi forse, numerosi validi e pronti com'erano, di non
poter debellare uno solo, debole e spaurito? Nessuna prova, dunque, del fatto, nessun
indizio in causa, nessun risultato concreto dell'accusa. Così questo processo
si è spostato per intero dal terreno delle prove, degli indizi, insomma
di quegli altri elementi dai quali la verità suole prender luce, a quello delle
deposizioni testimoniali. E questi testimoni io aspetto, o giudici, non solo
senza preoccupazione, ma anzi con la speranza di divertirmi.
[67] Io anelo di vedere, in prima linea, quegli eleganti giovani amici di una donna
ricca e nobile; poi quei gagliardi uomini appostati da questo loro generale in
gonnella nei nascondigli di una fortezza balneare: ai quali ultimi io chiederò dove
e come si siano celati, e se sia stata una vasca o quale cavallo di Troia a
portare e nascondere in sé tanti invitti combattenti di una guerra femminile. E
li costringerò a dirmi perché tali e tanti uomini non abbiano preso, mentre era
fermo, quell'unico e così debole, o non l'abbiano inseguito in fuga. Vengano
qui; e non se la caveranno più. Siano pure quanto si vuole brillanti nei conviti,
pungenti, talvolta anche ciarlieri per effetto del vino, ben altra cosa è la oratoria
del foro e quella del triclinio, ben altro il contegno in tribunale e
a tavola; non è la stessa cosa avere di fronte dei giudici, o dei commensali; e
tutt'altra cosa è la luce del sole da quella dei lampadari. Vengano, dunque: e
smonteremo tutte le loro frivolità e le loro sciocchezze. Ma diano retta
a me: curino altre imprese, cerchino altri appoggi, facciano mostra di sé in
altri campi, brillino presso quella donna per la loro bellezza, si impongano
con lo sfarzo, le si attacchino, le stiano ai piedi, la servano: ma non attentino,
vivaddio, al capo e alla fortuna di un innocente.
[68] Ma - fu obiettato - quegli schiavi furono liberi su parere favorevole
del consiglio di famiglia di Clodia, composto di uomini degnissimi ed eminenti.
Finalmente troviamo qualcosa che si afferma compiuto da questa donna per consiglio
e con l'autorità di quegli uomini, degnissimi ed eminenti, che sono i suoi congiunti.
Ma bramerai conoscere che cosa provi codesta messa in libertà, con la quale,
o si volle creare un argomento all'accusa contro Celio, o si vollero sottrarre
questi schiavi all'interrogatorio sotto tortura, o infine si cercò un pretesto
che giustificasse il premio concesso a servi che troppe cose sapevano. Ma, si
insiste, la cosa fu approvata dai familiari. E perché, dico io, non avrebbe
dovuto essere approvata, quando tu avessi tranquillamente raccontato loro che
l'insidia non ti era stata riferita da altri, ma scoperta da te stessa?
[69] Anche di questo vorremo meravigliarci, che quel fantastico vaso del
veleno abbia dato origine a quella famosa oscenissima storiella ... ? Per una
tale donna, non c'è turpitudine che non le stia a pennello. La storia è stata sulle
labbra e nelle orecchie di tutti. Voi capite perfettamente, o giudici, quello che
io intendo ...o meglio non intendo dire. Che se c'è in essa del vero, quel che
è certo è che Celio non c'entra affatto (e a che scopo ci sarebbe entrato?);
e potrebbe essere opera di qualche giovanotto più spiritoso che pudico. Se
poi è inventata, la menzogna passa la misura, ma non è priva di arguzia. Del
resto i discorsi e i giudizi della gente non l'avrebbero mai accreditata, se
tutto quanto di ignominioso si dica contro quella donna non la inquadrasse a
meraviglia.
[70] Ormai, o giudici, la causa è stata da me trattata e discussa. Sta a
voi misurare tutta la responsabilità che incombe su di voi, tutta l'importanza
del compito che vi è affidato. Voi dovete giudicare di un'accusa di violenza.
La legge relativa tocca l'autorità, la maestà, la saldezza della patria, la
salute pubblica; ed è questa legge che Quinto Catulo concesse in mezzo ai conflitti armati
dei cittadini ad una repubblica stremata, e che, sedato l'incendio ch'era divampato
durante il mio consolato, valse a spegnerne le fumanti rovine; è questa legge
che si vorrebbe da voi applicata in odio alla giovinezza di Celio, non per pagare
alla repubblica una pena dovuta, ma per soddisfare il capriccio di una donna
svergognata.
[71] Si è ricordata la condanna, da parte di questo stesso tribunale, di Marco
Camurzio e di Gaio Cesernio; quale stoltezza! Solo stoltezza, o dovrei
parlare piuttosto di straordinaria impudenza? Proprio voi, che parlate per quella
donna, avete il coraggio di rievocare quei nomi, di risuscitare il ricordo di una
infamia che il tempo, se l'ha scolorito, non l'ha però cancellato? Sotto quale accusa,
per quale colpa, furono essi perduti? Non c'è dubbio: per avere vendicato con
l'orribile stupro di Vezzio il rancore di questa donna per l'offesa patita. Forse
perché s'udisse in questa causa il nome di Vezzio, perché fosse richiamata quella vecchia
storia di denaro, si rifà qui la causa di Camurzio e di Cesernio? Costoro, sebbene
non potessero certamente essere colpiti dalla legge sulla violenza, erano
talmente implicati in quell'azione vergognosa, da apparir chiaro che non sarebbero
potuti sfuggire alla morsa di qualche altra legge.
[72] Ma Marco Celio, a quale titolo è chiamato in questo giudizio?
A lui non si imputa né il reato ch'è proprio di vostra competenza né
altro che, pure sfuggendo ai termini della legge speciale, non sfugga tuttavia
al vostro rigore. I suoi primi anni furono dedicati allo studio e a quelle discipline
che ci formano alla vita del foro, ci avviano alla carriera politica, agli onori,
alla gloria, all'autorità. In lui, la ricerca di quelle amicizie con gli uomini
d'età, dei quali ambiva prendere a modello l'operosità e la correttezza, e,
fra i suoi compagni di studio, con quanti dei migliori e dei più degni apparissero
indirizzati a percorrere la stessa onorata via.
[73] Non appena maturatosi un poco negli anni, partì per l'Africa. Fu al seguito del proconsole Quinto Pompeo, purissimo uomo e zelantissimo nell'adempimento dei propri doveri. In quella provincia, non solo suo padre aveva interessi
e proprietà, ma gli era pure offerta l'occasione di farsi una pratica di vita
provinciale, che a ragione i nostri vecchi riservavano a quella età. Se ne venne
via con un alto elogio di Pompeo, come sapete dalla sua stessa testimonianza.
Volle, secondo l'uso antico, secondo l'esempio di quei giovani che divennero
poi uomini eminenti e cittadini illustri, che fosse noto al popolo romano il
proprio zelo per la cosa pubblica con qualche accusa di spicco.
[74] Io avrei desiderato, per verità, che la sua sete di gloria lo avesse altrimenti
indirizzato nell'accusa; ma ormai è troppo tardi per dolersene. Accusò egli
dunque il mio collega Gaio Antonio, al quale, disgraziato, non servì a nulla
il ricordo delle proprie benemerenze verso lo Stato, nocque invece la fama di
aver pensato a cospirare a suo danno. Dopo d'allora, Celio non fu secondo ad
alcuno dei suoi coetanei, né nel foro, né nel trattare gli affari e le cause
degli amici, né nell'autorità acquistata fra i suoi. Tutto quello a cui solo
gli uomini vigili, sobri, attivi possono pervenire, egli conseguì con l'impegno
e la diligenza.
[75] A quella svolta dell'età sua - nulla io tacerò con voi, sicuro come
sono della vostra benevolenza e saggezza - la sua buona fama fu messa un poco in
dubio dalla sua recente familiarità con quella donna, dal suo pericoloso
vicinato, dalla rivelazione di quei piaceri, che, rimasti a lungo contenuti e
compressi e impediti nella prima età, spesso in seguito erompono e straripano per
ogni verso. Ma da una vita siffatta, o meglio quale le dicerie gli attribuivano
(perché la verità non fu mai così nera come la presentavano le chiacchiere della gente),
da quella, insomma, sua situazione, qualunque essa fosse, egli si trasse
fuori e interamente si sollevò e liberò: e ripudia oggi quell'intima relazione, al punto
da doversi guardare dall'avversione e dall'odio di quella donna.
[76] Fu appunto per mettere fine a quelle chiacchiere sulla sua vita
di voluttà e di ignavia, che egli si diede ad accusare (lo fece, vivaddio,
me contrario, e con la mia più viva resistenza, ma tuttavia lo fece) l'amico
mio Atratino per corruzione elettorale. Prosciolto quest'ultimo, egli torna
all'assalto e lo accusa di nuovo: sordo ai consigli di tutti noi, diviene più
aggressivo di quanto non vorrei. Ma io non voglio parlare di saggezza, che a
quell'età non esiste; parlo invece della impulsività dell'animo, della smania di
superare, della sete febbrile di gloria. Sono passioni, codeste, che alla nostra
età possono essere frenate, ma che in gioventù sono come il preannunzio in erba
di quanta maturità di doti e di quali frutti sarà prodiga l'attività futura. Sempre
i giovani di grande intelligenza furono piuttosto da trattenere che non
da spingere verso la gloria; e c'è più da potare che da innestare in coloro sui quali, a
quell'età, fioriscono le lodi intorno al loro ingegno.
[77] Tant'è, che se a qualcuno possa sembrare essere stata troppo ribollente la vivacità, l'accanimento,
l'ostinazione di Celio nell'attirarsi ostilità e nell'affrontarle, se
a qualcuno sia spiaciuto anche il più tenue di codesti eccessi - la porpora che
orlava la sua toga, la folla degli amici, la splendidezza e l'eleganza del vestire
-; tutto ciò sarà tra poco calmato, tutto ciò l'età, le occupazioni, il
tempo avranno in breve placato. Conservate dunque alla patria, o giudici, un
cittadino amante della cultura, devoto al partito dell'ordine e agli uomini migliori.
Questo io prometto a voi, di questo io mi faccio garante verso lo Stato
(se mai l'opera mia fu ad esso gradita), che questo giovane non si allontanerà
mai dalle nostre direttive: e lo prometto, confidando nella nostra familiarità
e nell'essersi egli già sottomesso alle più severe norme di vita.
[78] Non può, chi abbia chiamato in giudizio un antico console accusandolo
di avere attentato alla sicurezza dello Stato, farsi egli stesso provocatore di disordini; non può, chi neppure tollerò, assolto dall'accusa di corruzione
elettorale chi anche ne era stato assolto, farsi impunemente corruttore lui stesso.
La vita pubblica, o giudici, ha già avuto di Marco Celio due processi, che stanno
come ostaggi contro ogni pericolo, come pegni del suo retto volere. Perciò,
o giudici, io invoco da voi, che nella stessa città in cui, proprio di questi
giorni, andò assolto Sesto Clelio, che per ben due anni voi avete visto o fautore
o capo di sommosse; che con le proprie mani diede fuoco al sacro tempio e alle
tavole censorie e alle pubbliche memorie del popolo romano; uomo senza mezzi,
senza fede, senza avvenire, senza domicilio, senza posizione sociale; insozzato
nel viso, nella parola, nelle mani, in tutta la sua vita; che abbatté il monumento
eretto da Lutazio Catulo, distrusse la mia casa, arse quella di mio fratello;
che sul Palatino, al cospetto della cittadinanza, aizzò le turbe di schiavi
alla strage e all'incendio di Roma: in questa stessa città non tolleriate che,
dove quello fu assolto per intercessione femminile, sia condannato Celio per
femminile vendetta, e che la donna medesima appaia avere, insieme col proprio
fratello... marito, strappato alla giustizia il più scellerato delinquente e
schiacciato sotto il suo peso un onestissimo giovane.
[79] Guardate alla sua giovinezza; ma abbiate a un tempo presente dinanzi a voi la tarda età di questo infelice, che non ha altro aiuto che quel solo figlio, altra speranza che in lui, che questo solo paventa, di perderlo; questo infelice, che supplichevole dinanzi alla vostra umanità, umile dinanzi alla vostra autorità, prostrato più che ai vostri piedi dinanzi all'animo e alla vostra sensibilità, voi
lo solleverete, nel ricordo dei vostri genitori, nel sorriso dei vostri figlioli, esaltando, nel dolore altrui, la vostra pietà e la vostra bontà. Non vogliate, o giudici, affrettare, più con la vostra condanna che per la legge vigente, la fine
di quest'uomo ormai prossimo al tramonto, né schiantare quella giovane vita, ormai radicata nella virtù, al suo primo fiore, come per un turbine o una bufera improvvisa.
Traduzione di V. Todisco
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