Orazione in difesa del Re Deiotaro |
Traduzione
3. E poi, uno schiavo
fuggiasco che accusa il padrone, e per di più un padrone che è assente e
per di più un padrone assai legato alla nostra repubblica: quando io lo
guardavo in faccia, quando lo ascoltavo parlare, non provavo dolore perché era stata
così calpestata la dignità di un re, ma piuttosto provavo terrore considerando la sorte di tutti.
Infatti, mentre secondo la nostra tradizione non è consentito far testimoniare uno
schiavo contro il padrone neppure con la tortura, anche se in un interrogatorio
tale la sofferenza fisica può strappare la verità perfino a chi non vuol
parlare, è venuto fuori uno schiavo ad accusare, senza alcuna tortura, una
persona che neppure fra i tormenti si potrebbe denunciare.
4. A tratti, o C. Cesare, avverto anche un altro motivo
di agitazione, e tuttavia nel momento in cui io considero a fondo il tuo
carattere cesso di stare in
apprensione, perché si tratta di una situazione sfavorevole di fatto, che diventa però la più favorevole
grazie alla tua saggezza. Parlare infatti di un delitto di fronte alla persona contro
la vita del quale si è accusati di averlo ordito, se si considera
la cosa in sé, sarebbe un compito grave, giacché non c'è praticamente nessuno che, giudicando una
causa riguardante un pericolo da lui corso, non si mostri meglio disposto
verso se stesso che verso l'imputato. Ma la tua natura straordinaria e superiore, o
Cesare, ha dissipato questo mio timore: sono preoccupato infatti per la decisione che
vorrai prendere sul re Deiotaro, ma più ancora comprendo quale giudizio tu
desideri che gli altri esprimano sul tuo conto.
5. Sono turbato anche dalla stessa novità del luogo; una causa tanto importante quanto nessuna altra mai è venuta in discussione, la difendo fra le pareti di un'abitazione privata, la difendo lontano da quel folto uditorio, in cui
di solito trova sostegno la passione degli oratori; è nei tuoi occhi,
nell'espressione del tuo volto che io trovo conforto, te solo io guardo, a te solo si rivolge tutto
il mio discorso; se queste circostanze sono molto importanti nel darmi la speranza di far trionfare la verità, sono meno valide a riscaldare il mio animo e a conferire
impeto e animazione a tutte le mie parole.
6. Se infatti questa causa, o C. Cesare, la
difendessi nel foro, anche se fossi sempre tu ad ascoltare e giudicare,
quale entusiasmo mi infonderebbe l'accorrere del popolo di Roma! Quale cittadino infatti
non mostrerebbe favore per quel re e non ricorderebbe che ha trascorso
tutta la sua vita combattendo a fianco del popolo di Roma? Avrei dinanzi agli occhi la Curia,
guarderei nel foro e infine invocherei il cielo stesso. Così, ricordandomi dei benefici
degli dèi immortali, del popolo di Roma e del senato nei confronti del re Deiotaro,
in nessun modo mancherebbe forza al mio discorso.
7. Ma poiché le pareti di una casa rendono meno validi questi
argomenti e la difesa della causa così notevole viene condizionata dal luogo, spetta
a te, Cesare, che hai difeso più volte molte persone, giudicare da te stesso
quale sia il mio stato d'animo, affinché la tua equanimità da un lato e la
tua attenzione nell'ascoltarmi dall'altra compensino questa mia emozione. Ma prima
di parlare dell'accusa vera e propria, dirò qualche parola su quello che
sperano gli accusatori; costoro, anche se non sembrano dotati né di capacità
né di profonda esperienza, tuttavia si sono presentati a questo processo
non senza qualche speranza e qualche piano prestabilito.
8.
Che tu fossi irritato contro il re Deiotaro non lo ignoravano; che egli avesse
subito dei danni morali e materiali a causa del tuo risentimento essi lo
ricordavano, e che tu fossi in collera con lui, ma loro amico, l'avevano saputo: e
poiché parlavano del pericolo che hai corso da te personalmente, pensavano che in un
animo prevenuto avrebbe facilmente fatto presa una falsa accusa. Per questo
motivo, Cesare, in nome della tua lealtà, della tua rettitudine e della tua
clemenza, liberaci anzitutto da questa paura: non dobbiamo avere il sospetto che
in te agisca qualche sentimento di rancore. Ti supplico in nome di questa
destra, che hai teso al re Deiotaro come ospite a chi è stato ospite: questa
destra, io dico, ben ferma non tanto in guerra né in battaglia quanto nella
lealtà della parola data. Sei tu che hai voluto entrare nella casa di quello, tu
hai voluto rinnovare un'antica ospitalità; te accolsero i suoi penati, te videro
amico e sereno gli altari e i focolari del re Deiotaro.
9. Come di solito,
o Cesare, sei sensibile alle preghiere, così come ti lasci convincere una
volta per sempre. Nessuno che fosse tuo avversario ti ha mai placato per poi
ravvisare in te la presenza di qualche traccia di risentimento. E tuttavia a chi
sono sconosciute le lagnanze da parte tua sul conto di Deiotaro? Non gli hai mai
rinfacciato di essere un nemico, tutt'al più un amico che ha adempiuto poco il
suo dovere, perché a tuo giudizio era stato più solerte nell'amicizia con Cn.
Pompeo che in quella con te; però dicevi che gli avresti perdonato appunto
questo atteggiamento, se allora avesse sì mandato aiuti a Pompeo e perfino il
proprio figlio, ma avesse per se stesso accampato la scusa
dell'età.
10. Così, scagionandolo
dalle gravissime responsabilità, gli attribuivi una colpa molto lieve. Di conseguenza non
soltanto non hai preso provvedimenti nei suoi confronti, ma lo hai liberato
da ogni timore, l'hai riconosciuto come ospite, lo hai lasciato re. Egli infatti non ha agito
per odio contro di te, ma è caduto nell'errore condiviso da tutti. Quel re,
cui il senato si era spesso rivolto con questo titolo in decreti molto onorevoli per
lui e che fin dalla giovinezza aveva considerato quell'assemblea la
più autorevole e sacra, si è lasciato confondere, lui, uomo che viveva lontano e di
stirpe diversa dalla nostra, dalle medesime valutazioni che hanno sviato noi, nati e sempre
vissuti nel cuore di Roma.
11. Nel sentire che, per decisione unanime del senato,
erano state prese le armi ed era stato dato l'incarico di difendere lo Stato ai
consoli, ai pretori, ai tribuni della plebe, a noi investiti
dell' imperium , egli era rimasto profondamente scosso e, da uomo molto legato al nostro impero, era in apprensione per la salvezza del popolo romano, dalla quale
vedeva dipendere anche la propria. Tuttavia, pur in una situazione di enorme
timore, pensava di doversi mantenere neutrale. Ma fu davvero assai turbato quando sentì che
i consoli erano fuggiti dall'Italia e che tutti gli ex consoli, queste erano le notizie
che gli giungevano, il senato al completo, l'intera Italia si era dispersa. Infatti
a notizie e a chiacchiere del genere si apriva la via dell'Oriente,
senza che fossero seguite da altre vere. Egli non sapeva nulla delle condizioni che
avevi posto, nulla dei tuoi sforzi per un accordo e per la pace, nulla
delle trame di certi personaggi contro la tua dignità. Eppure, stando così le
cose, si mantenne neutrale fino al momento in cui arrivarono da lui dei corrieri con una lettera da
parte di Cn. Pompeo.
12. Perdona, o Cesare, perdona il re Deiotaro, perdonalo se ha ceduto di fronte all'autorevolezza
di quell'uomo che tutti noi abbiamo seguito, sulle cui spalle gli dèi e gli uomini
hanno accumulato tutti gli onori, ma anche tu stesso gliene hai concesso innumerevoli
e grandissimi. Infatti, se è vero che le tue imprese hanno oscurato la
gloria degli altri, non per questo abbiamo perduto il ricordo di Cn. Pompeo.
Chi ignora quanto fu grande il suo nome, quanto grande la sua potenza, quanto grande
la sua gloria in ogni genere di guerra, quanto grandi gli onori
attribuitigli dal popolo di Roma, dal senato, da te? Egli aveva superato in gloria chi era
venuto prima di lui come tu hai primeggiato su tutti. Per questo contavamo
ammirati le guerre, le vittorie, i trionfi, i consolati di Cn. Pompeo, ma non
possiamo calcolare i tuoi.
13. Il re Deiotaro, dunque, in questa guerra disgraziata
e fatale venne da colui che aveva aiutato prima in guerre giuste e
contro nemici esterni, da colui con il quale era stato legato non soltanto dall'ospitalità
ma anche da amicizia; e venne da lui richiesto come un amico, mandato
a chiamare come un alleato, convocato come chi ha imparato a obbedire al
senato; e venne infine da uno che fuggiva e non da uno che inseguiva il nemico,
con cui dividere il rischio, non la vittoria. E così, combattuta la battaglia
di Farsalo, si separò da Pompeo, non volle continuare a seguire una speranza
incerta, ritenne di aver dato abbastanza sia al dovere, se era stato in
debito di qualcosa, sia all'errore, se qualcuno ne aveva commesso senza saperlo;
tornò in patria e, mentre tu combattevi la guerra alessandrina, servì i tuoi
interessi.
14. E’ stato lui ad
aiutare con le sue case e i suoi mezzi l'esercito di quell'uomo nobilissimo che
è Cn. Domizio, è stato lui a inviare denaro a Efeso a colui che hai scelto
fra tutti i tuoi come il più fidato e il più affidabile, e sempre lui una seconda
volta e poi una terza, dopo aver messo all'incanto i suoi beni, ha offerto il
denaro da usare per la tua guerra; è stato lui ad affrontare il pericolo con
il proprio corpo, a essere sul campo al tuo fianco contro Farnace e a pensare
che il tuo nemico fosse suo nemico. E questi servigi tu li hai apprezzati, o
Cesare, in modo tale da riconoscergli il più alto onore, il titolo di re
.
15. Quest'uomo, dunque, che tu hai non solo liberato dal pericolo,
ma anche insignito del più alto onore, è accusato di aver tramato il tuo
assassinio in casa sua: ma tu, a meno di non giudicarlo completamente pazzo, su
questo non puoi nutrire di certo alcun dubbio. Infatti, tralasciando quanto
grande delitto sarebbe stato uccidere un ospite davanti agli dei penati,
quanto grande brutalità spegnere l'astro più fulgido di tutti i popoli e di tutti
i tempi, quale bestialità non tremare di paura di fronte al vincitore del
mondo, quanta rozzezza e ingratitudine dimostrarsi un tiranno nella persona dalla
quale si è ricevuto il titolo di re; per tralasciare tutto ciò, quale
pazzia sarebbe stata suscitare unicamente contro di sé tutti i re, molti dei
quali erano confinanti, tutti i popoli liberi, tutti gli alleati, tutte le
province e insomma tutti gli eserciti di tutti? Come avrebbe potuto evitare di
essere sterminato con il suo regno, con la sua casa, con la moglie, con il
figlio amatissimo, se avesse non dico portato a compimento, ma anche soltanto
tramato un delitto tanto grave?
16. Eppure, immagino l'obiezione, un uomo incosciente e temerario non poteva vedere
tutto ciò; ma c'era qualcuno più riflessivo, più previdente di lui? Del resto,
a questo punto ritengo che Deiotaro debba essere difeso non tanto per la
sua prudenza quanto per la sua vita leale e irreprensibile. Tu conosci bene, o
Cesare, l'onestà della persona, la sua moralità, la sua fedeltà. Chi inoltre ha sentito parlare del popolo di Roma senza sentire dell'integrità,
dell'autorevolezza, della virtù, della lealtà di Deiotaro? E allora, il delitto che non
riuscirebbe a concepire né uno sconsiderato, per la paura di morte immediata, né un
criminale, a meno di non essere per di più completamente fuori di sé, voi immaginate
che sia stato tramato da un uomo irreprensibile, che è pure una persona tutt'altro
che sciocca?
17. Ma questo non soltanto non è credibile ma non
fa sorgere neppure il più piccolo sospetto! L'accusatore dice: «Quando tu sei arrivato nella fortezza
di Blucio e ti sei fermato nella dimora del re tuo ospite, c'era una sala in
cui erano stati raccolti i doni che il re aveva deciso di offrirti; qui
ti voleva accompagnare dopo che avevi fatto il bagno e prima che ti mettessi a
cena: infatti proprio qui erano stati disposti uomini armati per ucciderti». Ecco
l'accusa, ecco il motivo per cui uno schiavo fuggiasco chiama in giudizio un
re, uno schiavo il suo padrone! Quanto a me, o Cesare, all'inizio, allorché
mi fu presentata la causa in questi termini, che cioè il medico Fidippo, schiavo del re,
che era stato inviato fra i legati, era stato corrotto dal giovanotto qui
presente, io fui preso da un sospetto del genere: «Ha istigato il medico a
fare il delatore; senz'altro inventerà qualche veneficio». Anche se l'ipotesi
era lontana dalla verità, tuttavia non era molto distante dal comune modo di formulare le accuse. Che dice
il medico? Non una parola sul veleno.
18. Eppure avrebbe potuto essere somministrato anzitutto più di nascosto in una bevanda,
nel cibo; e poi anche in modo più sicuro, perché, una volta
somministrato, si può negare di averlo fatto. Se ti avesse fatto uccidere apertamente,
avrebbe attirato su di sé non soltanto l'odio di tutti i popoli ma
anche i loro eserciti; se l'avesse fatto con il veleno, di certo non avrebbe mai
potuto agire di nascosto a Giove protettore degli ospiti, ma agli uomini forse sì.
E allora, ciò che avrebbe potuto tramare lui stesso in modo più nascosto
ed eseguire con maggior sicurezza, non lo confidò a te,
seppure sei medico esperto e schiavo che credeva fedele: e invece non volle tenerti
all'oscuro di sicari, di armi, di agguati?
19. Ma com'è ben
ordita questa accusa! «Ti ha salvato» dice l'accusatore, «ancora una volta la
stessa fortuna che è sempre con te: quella volta hai detto che non volevi
andare a vedere i doni». [VII] E poi cosa accadde? Forse Deiotaro, visto che quel giorno
era andato a monte il suo piano, in seguito depose le armi? non c'era
nessun'altra occasione per l'agguato? Eppure tu avevi detto che saresti andato nella famigerata sala dopo
cena, e così hai fatto. Sarebbe stata una difficoltà far restare nel
medesimo luogo gli uomini armati, così come erano stati disposti, per un'ora o
due? Dopo aver partecipato alla cena in un clima di affabilità e buon
umore, ti sei recato là, come avevi detto; in quella sala hai sperimentato che Deiotaro nei
tuoi confronti si era comportato come il re Attalo con P. Africano, al
quale egli inviò dall'Asia fino a Numanzia doni ricchissimi (così dicono le fonti
scritte), che l'Africano accolse alla presenza dell'esercito. E dopo che
Deiotaro personalmente fece lo stesso gesto con l'atteggiamento e i modi degni di un
re, ti sei ritirato nella tua stanza.
20. Ti prego, o Cesare, richiama alla memoria quel momento,
fatti tornare davanti quel giorno, ricorda l'espressione degli uomini che ti guardavano con ammirazione. C'è forse
qualche segno di inquietudine, qualche segno di disordine, qualcosa che non si accordi
con il decoro, con la calma, con la compostezza degna della personalità più
autorevole e più rispettabile? Pertanto che razza di motivazione si
può ricostruire sostenendo che egli avrebbe voluto ucciderti dopo il bagno ma non lo avrebbe più voluto dopo la cena?
21. L'accusatore dice: «Ha rimandato al
giorno seguente, per poter mettere in atto il suo piano quando si fossero trasferiti nel
castello». Io non mi spiego la ragione
del cambiamento di luogo, ma tuttavia ammettiamo che la decisione abbia avuto uno scopo
criminoso. L'accusatore prosegue: «Quando dopo cena hai detto di voler vomitare, allora si disposero
ad accompagnarti al bagno: era lì infatti che era pronto l'agguato. Ma ti ha salvato ancora
una volta la tua fortuna: hai detto che preferivi andare nella tua stanza». Gli
dèi ti maledicano, schiavo fuggiasco! Ora è chiaro che sei un buono a nulla e
un disonesto, e in aggiunta sei anche stupido e senza testa. Perché?
Nel bagno egli aveva forse messo statue di bronzo, che non avrebbero potuto
passare dal bagno alla camera da letto? Queste sono le accuse sull'agguato! non
ha detto nulla di più. Dice: «Ero a conoscenza di questo piano». E allora? Deiotaro
sarebbe stato così dissennato da lasciar partire colui che aveva messo a parte
di un misfatto così grave, e da mandarlo addirittura a Roma, dove sapeva
che si trovavano suo nipote, suo grande nemico, nonché C.
Cesare, contro il quale aveva tramato? tanto più sapendo che quello era il solo
a poterlo denunciare approfittando della sua assenza?
22. Dice: «I miei
fratelli poi, poiché erano a conoscenza del piano, li gettò in prigione».
Dunque, mentre imprigionava quelli che aveva sotto mano, lasciava libero te e ti
inviava a Roma, anche se eri a conoscenza dei medesimi fatti di cui dici che erano a conoscenza loro?
[VIII] Il resto dell'accusa è articolato in
due capi: il primo, che il re è sempre stato all'erta, essendo d'animo
ostile nei tuoi confronti; il secondo, che egli ha raccolto contro di te
una grande armata. Dell'esercito dirò in breve, come delle altre accuse: il re Deiotaro non
ha mai avuto truppe così valide da essere in grado di far guerra
a Roma, ma solo per difendere il proprio territorio dalle incursioni e dalle scorribande dei predoni e per inviare aiuti militari ai nostri
generali; e poi prima avrebbe di certo potuto mantenere truppe più numerose, mentre ora
può a stento conservarle a ranghi ridotti.
23. Eppure - si obietta - ha inviato emissari a un non ben identificato Cecilio; ma quelli che aveva scelto, poiché si
sono rifiutati di andare, li ha gettati in prigione. Non sto a
indagare la verosimiglianza del fatto che il re abbia avuto o no persone
da inviare, o che gli incaricati dell'ambasceria non abbiano obbedito, o ancora che quelli, pur non avendo obbedito all'ordine in una situazione tanto delicata, siano stati imprigionati e
non piuttosto messi a morte. Ma tuttavia, nel momento in cui cercava di
inviare messi a Cecilio, non sapeva che quella causa era perduta o riteneva questo Cecilio un uomo valoroso? Deiotaro che ha imparato a conoscere molto bene i nostri uomini, non lo avrebbe preso in considerazione, sia che non lo conoscesse bene sia che lo conoscesse.
24. Si aggiunge anche un'altra accusa: ha inviato dei contingenti di cavalleria che non erano i migliori. 0 Cesare, io credo che abbia inviato ben poca cosa in confronto alla tua cavalleria, ma ha inviato i migliori fra quelli di cui disponeva. Dice
inoltre, l'accusatore, che fra essi è stato riconosciuto un certo tal
schiavo: io non ci credo e non l'ho sentito dire; ma in questo fatto, anche se fosse accaduto, sono portato a credere che non vi sia stata alcuna colpa del re.
[IX] E poi, come ha manifestato la sua ostilità d'animo nei tuoi confronti? Egli ha sperato,
suppongo, che le vie d'uscita da Alessandria sarebbero state per te difficoltose a causa della
natura del territorio e del fiume. Eppure proprio in quel momento ti ha
dato del denaro, ha rafforzato il tuo esercito, non ha avuto alcuna mancanza
verso colui che avevi messo a capo dell'Asia; quando hai
vinto è stato a tua disposizione non soltanto per ospitarti, ma per proteggerti e
anche per combattere al tuo fianco.
25. Poi è venuta la guerra d'Africa. Sul tuo conto
circolavano voci preoccupanti, che eccitarono anche quel pazzo di Cecilio.
Quali sentimenti verso di te dimostrò allora il re, che arrivò a mettere i
propri beni all'incanto e preferì privarsene piuttosto che non contribuire alla
tua causa con denaro? Si obietta: «Eppure proprio in quel periodo inviava
emissari a Nicea e a Efeso perché raccogliessero le voci dall'Africa e gliele
riportassero in fretta. E così, alla notizia che Domizio era morto nel naufragio
e che tu eri assediato nella fortezza, ha citato un verso greco di contenuto
analogo al nostro: «Periscano gli amici, purché
con loro cadano i nemici!». Ma egli, se pure fosse
stato il tuo più grande nemico, non lo avrebbe mai citato, perché lui è un
mite, il verso invece è disumano. Del resto, come avrebbe potuto essere amico
di Domizio uno che fosse tuo nemico? E d'altra parte, perché avrebbe dovuto essere
tuo nemico, dato che aveva bene in mente che tu,
pur avendo potuto metterlo a morte secondo il diritto di guerra, lo avevi riconosciuto
come re insieme a suo figlio?
26. Che altro c'è? dove vuole arrivare quel furfante? Dice che Deiotaro, eccitato
dalla gioia per la notizia, si sia ubriacato e abbia danzato nudo durante un
banchetto. Quale croce potrebbe dare adeguato supplizio a questo fuggiasco? Chi ha mai visto Deiotaro danzare
o ubriacarsi? In quel re convivono tutte le doti, e ritengo che tu,
Cesare, non lo ignori, ma in particolare una singolare e ammirevole frugalità; e d'altronde
io so che di solito questo non è un termine usato per
lodare i re. Esser chiamato frugale non è una gran lode per un re;
fortezza, giustizia, austerità, solennità, magnanimità, generosità, beneficenza, liberalità: queste sono lodi per un
re, mentre quella di prima è adatta a un privato cittadino. Ciascuno la prenda come
vuole: io ritengo che la frugalità, cioè il senso del limite e la
moderazione, sia la dote più grande. E questa virtù è in lui fin
dagli anni giovanili e fu conosciuta a fondo sia dall'intera
Asia, sia dai nostri magistrati e legati, sia dai cavalieri di Roma che in
Asia hanno svolto la loro attività.
27. Attraverso una lunga serie di servigi
resi al nostro Stato egli è arrivato a questo titolo di re, ma
tuttavia tutto il tempo che gli restava libero dalle guerre a fianco del
popolo di Roma lo impiegava per stringere con nostri concittadini relazioni, amicizie, rapporti commerciali; e
così finì per essere considerato non soltanto nobile tetrarca ma anche eccellente padre
di famiglia, contadino e allevatore esperto. Dunque chi da giovane, senza aver ancora
acquisito così chiara fama, non si è mai comportato se
non in modo assai austero e solenne, giunto alla reputazione e all'età che ha
ora, si sarebbe messo a danzare?
28. E tu, o Castore, avresti dovuto imitare la rigorosa moralità di tuo nonno piuttosto che diffamare un
uomo eccellente e notissimo per bocca di uno schiavo fuggiasco! Anche se tu avessi
avuto come nonno un ballerino e non un uomo tale da offrire esempi di onorata morigeratezza,
tuttavia questa tua diffamazione non avrebbe alcun senso, data l'età. Quelle passioni di cui
si era imbevuto fin dagli anni giovanili, non per la danza ma per l'abile uso
delle armi e per l'abilissimo maneggio dei cavalli, lo avevano tuttavia abbandonato,
perché era ormai trascorsa l'età adatta a esse. E così, dopo che molti
servi avevano issato Deiotaro a cavallo, di solito lo guardavamo con ammirazione, perché
poteva, vecchio com'era, star saldo in sella; invece il giovanotto qui presente, che fu mio
soldato in Cilicia e in Grecia mio commilitone, quando cavalcava nelle fila di
quel mio esercito con i suoi cavalieri scelti, che insieme a lui suo
padre aveva inviato a Pompeo, quale folla soleva radunare, come
si vantava, come si metteva in mostra, come non era secondo a nessuno in
passione ed entusiasmo per quella causa!
29. Ma, una volta battuto l'esercito, io, che sono sempre stato un fautore della
pace e che, specialmente dopo la battaglia di Farsalo, avevo consigliato non
di deporre le armi ma di abbandonarle del tutto, non sono stato capace
di indurre costui a seguire il mio esempio, perché lui stesso ardeva dal desiderio
di continuare la guerra e perché riteneva di doverlo fare per compiacere al padre. Fortunata
questa casa, che non ha ottenuto soltanto l'impunità ma anche la libertà di
accusare altri; infelice Deiotaro, che viene accusato da chi ha combattuto dalla stessa
parte, e non soltanto davanti a te ma addirittura dai
suoi parenti. Voi, o Castore, non potreste accontentarvi della vostra buona stella senza volere
anche la rovina dei vostri parenti?
30. Ammettiamo
pure che esista inimicizia, che non avrebbe dovuto esistere, il re Deiotaro ha fatto
uscire dalle tenebre alla luce la vostra famiglia, che era di umile condizione e
sconosciuta: tuo padre, chi ha saputo chi era prima di sapere di chi era genero?
ma pur ripudiando in modo ingrato ed empio i vincoli di parentela, tuttavia avreste
potuto comportarvi da avversari, ma in modo umano, e non perseguitare con un'accusa falsa, chiedere la
vita, reclamarne persino la testa! Concediamo anche questo grande accanimento e questo grande odio:
ma fino al punto di violare tutte le leggi sull'incolumità della vita individuale, della società
civile e perfino dell'umanità? Istigare uno schiavo, corromperlo con promesse per il
futuro, portarselo a casa propria, armargli la mano contro il padrone: tutto ciò
significa proclamare una guerra sacrilega non contro un singolo congiunto ma contro tutte
le famiglie . In effetti, se questo episodio di corruzione di schiavo risulterà impunito e
per di più ammesso da una personalità tanto autorevole, non ci sarà parete
domestica, non ci sarà legge, non ci sarà diritto a tutelare la nostra
incolumità; perché, quando ciò che è intimo e nostro può
impunemente prendere il volo e combattere contro di noi, chi è padrone diventa schiavo
e chi è schiavo diventa padrone.
31. O tempi, o costumi ! Quel famoso
Cn. Domizio, che da bambino ho visto console, censore, pontefice massimo, in qualità di tribuno
della plebe aveva chiamato in giudizio davanti al popolo M. Scauro, una
delle personalità più in vista; uno schiavo di Scauro andò di nascosto nottetempo
a casa sua dicendo che avrebbe formulato accuse contro il proprio padrone, ma egli ordinò di catturare quell'uomo e di condurlo da Scauro. Considera la differenza: è vero, non è corretto paragonare Castore a Domizio; e comunque lui ha fatto riportare
lo schiavo al proprio avversario mentre tu lo hai portato via a tuo
nonno, lui non l'ha corrotto e non l'ha voluto ascoltare
mentre tu l'hai corrotto, lui ha rifiutato l'aiuto di uno schiavo contro il padrone
mentre tu l'hai sfruttato anche come accusatore.
32. Ma - si può obiettare- costui è stato
corrotto da voi una sola volta: dopo esser stato accompagnato qui e dopo esser restato
con te, non è forse tornato dai legati? non è andato forse
da Cn. Domizio, qui presente? I qui presenti Ser. Sulpicio, personalità ben nota, che per caso era ospite a cena da Domizio, e T. Torquato, giovane
stimato, non l'hanno forse sentito ammettere di esser stato corrotto da te e di essere
stato spinto a testimoniare il falso dalle tue promesse? [XII] Che razza di
disumanità è questa, tanto sfrenata, tanto crudele, tanto smisurata? Per questo sei venuto
in questa città, per corrompere le leggi e i modelli
di vita di questa città e per contaminare la civiltà di noi che l'abitiamo
con la barbarie della tua patria?
33. Ma con quanta finezza sono
state messe insieme le accuse! Dice l'accusatore: «Blesamio (citava infatti il nome di quest'uomo irreprensibile e
a te non ignoto per diffamarti) ha scritto più volte al re che tu eri
malvisto, che eri ritenuto un tiranno, che l'animo della gente era stato
molto irritato vedendo collocare la tua statua fra quella dei re, che comunemente
non venivi applaudito». Non capisci, o Cesare, che queste dicerie sono state raccolte
da costoro fra le chiacchiere dei maligni che vivono a Roma? Blesamio avrebbe potuto scrivere
che Cesare è un tiranno? Per forza! Aveva visto cadere la testa di
molti cittadini, molti perseguitati, bastonati, uccisi per ordine di Cesare, molte famiglie rovinate
e distrutte, il foro pieno di soldati armati! Quegli eccessi
che abbiamo sempre patito ad opera dei vincitori delle guerre civili non li abbiamo
visti quando il vincitore sei stato tu.
35. Penso di non aver tralasciato nulla, credo, ma un argomento l'ho volutamente riservato per l'ultima parte della causa:
che cioè il mio discorso ti faccia completamente riconciliare con Deiotaro. Non ho
infatti paura che tu nutra risentimento contro di lui: temo questo, che tu
sospetti che ne nutra lui verso di te, il che è ben lontano dall'essere vero,
credimi, Cesare. In effetti egli ricorda bene quello che conserva per grazia tua,
non quello che ha perso, e non ritiene di esser stato punito da
te, anzi, dal momento che pensavi di dovere molta riconoscenza
a molte persone, non si oppose a che tu lo privassi di quei beni,
visto che aveva combattuto dall'altra parte.
36. Antioco il Grande,
il famoso re dell'Asia, nonostante avesse perso tutta la parte di Asia che oggi è nostra
provincia, dopo che fu definitivamente vinto da L. Scipione e gli fu imposto di
limitare il proprio regno al Tauro, soleva dire che il popolo di Roma aveva agito
benevolmente nei suoi confronti, perché, liberatosi di una amministrazione troppo impegnativa, possedeva
un regno di giusta estensione; ebbene, Deiotaro si può consolare più facilmente di
lui: in effetti quello era stato punito per la sua follia, costui per
un errore. Tu, o Cesare, hai dato tutto a Deiotaro quando hai lasciato a lui
e a suo figlio il titolo di re; mantenuto e salvato questo titolo,
egli ritiene che non gli è venuto meno nessun beneficio del popolo di
Roma e nessuna espressione di stima da parte del senato.
E’ di animo coraggioso e fiero e non soccomberà mai di fronte ai nemici
e nemmeno di fronte alla sorte.
37. Egli crede sia di aver acquisito molti meriti
per la sua precedente condotta sia di averne molti nel suo animo generoso, tali
da non poterli perdere in alcun modo: quale destino o quale evento o quale ingiustizia tanto
grave potrebbe annullare le decisione a favore di Deiotaro prese da tutti i generali? Infatti,
da quando ha avuto l'età per poter stare in un accampamento, egli è stato elogiato
da tutti quelli che hanno combattuto guerre in Asia, Cappadocia, Ponto, Cilicia,
Siria; e poi i riconoscimenti a lui da parte del senato, così numerosi
e così onorifici, che sono stati registrati sulla documentazione ufficiale e sui monumenti
del popolo di Roma, quale volgere dei secoli mai li oscurerà o quale oblio tanto profondo
li cancellerà? Che cosa dovrei dire delle sue virtù morali, della grandezza d'animo,
dell'austerità, della fermezza? Gli uomini di cultura e i filosofi dicono che queste
qualità sono i beni sommi, e alcuni che sono addirittura
gli unici beni e che l'uomo virtuoso si accontenta di essi per una vita
non soltanto retta ma anche felice.
[XIV] Nutrendo dunque questi sentimenti già prima, non dubito che si sia sentito ancor
più sollevato e libero da ogni preoccupazione grazie alla tua lettera che a Tarragona hai
consegnato al qui presente Blesamio per lui e che ho letto in copia:
lo esorti a sperare in bene e a stare di buon animo, e
io so che di solito non lo scrivi invano. Ricordo
infatti che mi hai scritto quasi nei medesimi termini e con la tua lettera
mi esortavi non invano a bene sperare.
39. E'
vero, la causa del re Deiotaro mi sta a cuore; con lui gli affari
di Stato mi hanno fatto stringere amicizia, la simpatia reciproca ha fatto
nascere rapporti di ospitalità, la frequentazione ha approfondito l'affetto e infine le sue
notevoli attenzioni verso di me e verso il mio esercito hanno prodotto uno
strettissimo legame di riconoscenza . Ma se sono in pensiero per lui, lo sono pure
per molti personaggi assai ragguardevoli: bisogna che il tuo perdono risulti concesso loro
una volta per tutte, che la tua generosità non venga messa in dubbio,
che non resti fissa nell'animo della gente un'eterna inquietudine, che
non capiti che cominci ad avere paura di te qualcuno di quelli che hai
liberato dalla paura già una volta.
40. Non mi corre l'obbligo, o Cesare, ciò
che di solito si fa in casi così delicati, e cioè di cercare un
artificio con cui suscitare la tua pietà: non è assolutamente necessario, perché essa di solito spontaneamente
va incontro ai supplici e ai disgraziati, senza esser sollecitata dall'orazione di
qualcuno. Mettiti davanti agli occhi i due re e raffigurati con la mente
ciò che non puoi contemplare con gli occhi; sicuramente concederai alla tua misericordia
ciò che hai rifiutato all'ira. Sono numerose le testimonianze della tua clemenza, ma lo è
soprattutto l'incolumità di coloro ai quali hai salvato la vita, e se queste
testimonianze sono per te motivo di gloria in caso di privati cittadini, saranno
molto più memorabili se si tratta di re. In questa
città è sempre stato sacro il titolo di re, e a maggior ragione sacrosanto
quello dei re alleati e amici.
41. Quel titolo, i due re di
cui parliamo, hanno avuto paura di perderlo quando tu sei risultato vincitore, ma
l'hanno conservato, confermato da te, e confidano di tramandarlo anche ai loro discendenti.
I messi del re qui presenti ti offrono il loro corpo in cambio della salvezza
dei loro re: Iera, Blesamio e Antigono, noti a te e a noi
tutti ormai da lungo tempo, e Dorilao, anch'egli uomo leale e virtuoso, che
è stato inviato di recente come ambasciatore presso di te
insieme a Iera; si tratta di persone molto fedeli ai re ma anche -
io spero - stimate da te.
42. Indaga su Blesamio, se
davvero ha scritto al re qualcosa di lesivo della tua dignità. E Iera poi si
addossa tutta la responsabilità e chiede che si proceda contro di lui invece del
re per quelle accuse. Egli fa appello alla tua memoria, che hai tenacissima,
afferma di non essersi mai allontanato di un passo da te nella tetrarchia di
Deiotaro, dichiara di averti scortato facendo il tuo ingresso nelle
sue terre e di averti assistito fino alla tua uscita, di esser stato con te
quando sei uscito dal bagno, quando hai passato in rassegna quei doni dopo la
cena, quando ti sei ritirato nella tua stanza, e di esser stato presente accanto
a te il giorno dopo con la medesima assiduità. Di conseguenza, se è vero
che hanno tramato qualcuna di quelle insidie che sono state denunciate, non si
oppone a che tu ascriva a lui tale delitto. 43.
Pertanto, C. Cesare, vorrei che tu avessi chiaro che oggi la tua decisione
porterà ai re o la più miseranda rovina e il disonore più grande o la
persistenza della buona fama e la salvezza: desiderare la prima soluzione si
addice alla crudeltà degli accusatori, realizzare la seconda è conforme alla tua
clemenza.
Versione di
riferimento: V. Paladini, 1964
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